Come già per la Battaglia di Poitiers e la futura Battaglia di Vienna, la battaglia di Lepanto ebbe un profondo significato religioso. Prima della partenza, il Pontefice Pio V, benedetto lo stendardo raffigurante su fondo rosso il Crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo e sormontato dal motto costantiniano In hoc signo vinces, lo consegna al Duca Marcantonio Colonna di Paliano: tale simbolo, insieme con l’Immagine della Madonna e la scritta S. Maria succurre miseris, issato sulla nave ammiraglia Real, sotto il comando del Principe Don Giovanni d’Austria, sarà l'unico a sventolare in tutto lo schieramento cristiano all'inizio della battaglia quando, alle grida di guerra e ai primi cannoneggiamenti turchi, i combattenti cristiani si uniranno in una preghiera di intercessione a Gesù Cristo e alla Vergine Maria.
Tra i protagonisti anche lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes, Saavedra (Alcalá de Henares, 29 settembre 1547 – Madrid, 22 aprile 1616) imbarcato nella galea Marquesa che venne ferito e perse l'uso della mano sinistra; fu ricoverato a Messina, al ritorno dalla spedizione navale, presso il Grande Ospedale dello Stretto, e si dice che durante la degenza iniziò il Don Chisciotte della Mancia.
Con questa battaglia divenuta leggendaria iniziò la decadenza
marittima dell’Impero Ottomano, una data storica quella del 7 ottobre 1571
quando la flotta della Lega Santa comandata da don Giovanni d'Austria
(1547-1578) sconfisse l’imponente flotta ottomana di Mehmet ‚Ali Pascià
composta da 216 galee, 64 galeotte e 64 fuste e circa 750 cannoni totali.
La forza
combattente, comprensiva di giannizzeri (in
numero tra 2.500 e 4.500), spahi e marinai, ammontava a circa 20-25.000
uomini[.. Di questi, sicuramente armata d'archibugio era la fanteria
scelta dei giannizzeri, mentre la gran parte degli altri combattenti era armata
di arco e frecce,, del tipo turco circolare ben più efficaci degli
archi occidentali. La flotta ottomana, inoltre, era munita di minore
artiglieria rispetto a quella cristiana: circa 180 pezzi di grosso e medio
calibro e meno della metà degli oltre 2.700 pezzi di piccolo calibro imbarcati
dal nemico
I turchi schieravano l'ammiraglio Mehmet Shoraq, detto Scirocco all'ala destra, mentre il
comandante supremo Müezzinzade Alì Pascià (detto il Sultano) al centro conduceva
la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana,
su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a
caratteri d'oro il nome di Allah. Infine l'ammiraglio, considerato il migliore
comandante ottomano, Uluč Alì, ossia Giovan Dionigi Galeni (Le
Castella (frazione di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone) 1519 – Istanbul, 21
giugno 1587) di origini calabresi convertito all'Islam
(detto Ucciallì oppure Occhialì, presiedeva
all'ala sinistra.
Gli ottomani erano usciti vincitori nella
battaglie contro i regni cristiani dell’occidente ecoc qualche esempio
I Turchi avevano vinto:
- nel 1389 nel Kossovo contro i serbi;
- nel1396 a
Nicopoli contro i crociati guidati dal re d'Ungheria;
- nel1414 a
Negroponte contro i veneziani;
- nel1417 a
Valona;
- nel1418 a
Girocastro;
- nel1430 a
Salonicco contro i veneziani;
- nel1453 a
Costantinopoli mettendo fine all'Impero Bizantino;
- nel1462 a
Lesbo contro i genovesi;
- nel 1463 contro i greci dell'Impero di Trebisonda;
- nel 1463 contro i bosniaci a Jace;
- nel1480 a
Otranto contro gli italiani;
- nel1521 a
Belgrado contro gli ungheresi;
- nel1522 a
Rodi contro i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme;
- nel1527 a
Mohacs contro gli ungheresi;
- nel1571 a
Cipro contro i veneziani.
Nel 1529 avevano assediato gli austriaci a Vienna.
Nella seconda metà del secolo XVI i Turchi dominavano la Grecia, l'Albania, la Serbia, la Bosnia, l'Ungheria, la Transilvania, la Moldavia e la Valacchia.
- nel 1389 nel Kossovo contro i serbi;
- nel
- nel
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- nel 1463 contro i greci dell'Impero di Trebisonda;
- nel 1463 contro i bosniaci a Jace;
- nel
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Nel 1529 avevano assediato gli austriaci a Vienna.
Nella seconda metà del secolo XVI i Turchi dominavano la Grecia, l'Albania, la Serbia, la Bosnia, l'Ungheria, la Transilvania, la Moldavia e la Valacchia.
Fu dunque una vittoria importanttisma che
vide il mondo cattolico sotto le insegne Vaticane della Lega Santa che riuniva le forze
navali della Repubblica di Venezia,
dell'Impero spagnolo (con il Regno
di Napoli e di Sicilia),
dello Stato
Pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato
di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato
di Urbino federate
sotto le insegne pontificie. Dell'alleanza cristiana faceva parte anche la Repubblica di Lucca, che
pur non avendo navi coinvolte nello scontro, concorse con denaro e materiali
all'armamento della flotta genovese coalizzato contro il sultano Selim II. IL
casus Belli fu l’attacco nel 1570 dei
turchi dopo 25 anni di tregua a Cipro,
possedimento veneziano, provocando la
reazione del mondo cristiano. Ma in realtà preoccupava l’atteggiamento
aggressivo dell’Impero Ottomano ed il e la sua politica espansionistica che minacciava non solo i possedimenti veneziani
come Cipro, ma anche gli interessi spagnoli per via della pirateria. Consapevole
di questa tensione crescente, Pio V ritenne allora che il momento fosse
propizio per coalizzare in una Lega Santa le
troppo divise forze della cristianità, alimentando lo spirito di Crociata
per creare coesione intorno all'iniziativa.
L'anno successivo fu formata una coalizione
cattolica il cui nerbo era costituito dalla flotta di Venezia al comando del suo
futuro doge
Sebastiano Venier, da
quella imperiale spagnola di don Giovanni d'Austria (comandante supremo
delle flotte partecipanti), dalle navi di Genova,
guidate da Gianandrea Doria, da
quelle dei Cavalieri
di Rodi, con il loro Gran Maestro, da quelle del Ducato
di Savoia, condotte da Andrea Provana di Leinì e dalla flotta
pontificia, affidata a Marcantonio Colonna.
Lo stendardo,
benedetto dal Papa, fu consegnato solennemente dal cardinale di Granvelle a Don
Giovanni d'Austria, nella basilica
di Santa Chiara a Napoli il 14
agosto 1571
Come base di ricongiungimento dell'armata
cristiana era stata scelta Messina, situata in posizione strategica
rispetto al teatro delle operazioni. Qui, a partire dal luglio 1571, dopo mesi
di difficoltose trattative, si incontrarono le flotte alleate. Ai primi di
settembre, la flotta della Lega era riunita al gran completo nel porto
siciliano: al comando di Don Giovanni erano 209 galere (di cui 203 o 204 avrebbero
effettivamente preso parte alla battaglia) e 6 galeazze, oltre ai trasporti e al naviglio
minore.
Le forze risultavano così composte: 12 galere del papa armate dal granduca di Toscana di cui 5 equipaggiate dai Cavalieri di Santo Stefano, 10 galere di Sicilia, 30 galere di Napoli, 14 galere di Spagna, 3 galere di Savoia, 4 galere di Malta, 27 galere di Genova (di cui 11 appartenenti a Gianandrea Doria), 109 galere (di cui 60 giunte da Candia) e 6 galeazze di Venezia .
Le forze risultavano così composte: 12 galere del papa armate dal granduca di Toscana di cui 5 equipaggiate dai Cavalieri di Santo Stefano, 10 galere di Sicilia, 30 galere di Napoli, 14 galere di Spagna, 3 galere di Savoia, 4 galere di Malta, 27 galere di Genova (di cui 11 appartenenti a Gianandrea Doria), 109 galere (di cui 60 giunte da Candia) e 6 galeazze di Venezia .
La flotta della Lega, salpata da Messina il 16
settembre si mosse con velocità differenti e si trovò riunita solo il 4 ottobre
successivo nel porto di Cefalonia. Qui la raggiunse la notizia della caduta di Famagosta e dell'orribile fine inflitta dai
musulmani a Marcantonio
Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza
Ecco l'inizio
della battaglia di Lepanto attraverso il racconto di un marinaio della nave
cristiana "San Teodoro", narrato da Gianni Granzotto nel libro:
"La battaglia di Lepanto":
"...L'armata cristiana stava ferma sulla sua linea. Il solo movimento ordinato da don Giovanni riguardò le galeazze, che si andarono a schierare un miglio davanti a noi, come isole avanzate. Le galeazze erano sei, e dovevano mettersi a due per due all'innanzi di ciascuno dei nostri corpi, due per l'ala di Barbarigo, due per il centro di don Giovanni, due per l'ala del Doria. Se non che costui, comandato dall'argarsi verso il pieno del golfo, girò fin troppo il bordo allontanandosi al largo più di quanto si credeva opportuno. Per quella mossa si aprì una specie di varco sulla parte destra del nostro schieramento e le due galeazze che dovevano andare a proteggere il corno dei genovesi si trovarono un po' sperdute nel mezzo del mare.
Ma le altre furono pronte a scatenare tutto l'inferno dei cannoni di cui erano strapiene, immobili in mezzo al mare sotto quel peso come enormi tartarughe galleggianti. Sui turchi che avanzavano a tutta voga, senza più vele ai trinchetti per la caduta del vento, piovvero i colpi ed il fuoco in una terribile tempesta d'improvviso infuriante sul mare tranquillo. Davanti al nostro corpo di navi sparavano le galeazze di Francesco Duodo e di Andrea da Pesaro. Vidi le palle lanciate dal Duodo sfracassare il fanale più grande della Reale dei Turchi, che per altezza dominava il gruppo dei legni nemici avventati all'assalto. Un secondo colpo frantumò la spalla d'una galera vicina, un terzo mandò in pezzi il fasciame di un'altra, che si mise ad imbarcare acqua a fiotti sprofondando nel mare come in una sabbia. Uomini con i turbanti in capo si buttarono a nuoto dagli spalti divelti, tra remi spezzati, frammenti di chiglia, tronconi d'alberi dimezzati che cadevano da altre galere colpite travolgendo soldati e rematori, mentre il fuoco prendeva a divampare su questo e quel bordo illuminando le acque di inverosimili bagliori”
"...L'armata cristiana stava ferma sulla sua linea. Il solo movimento ordinato da don Giovanni riguardò le galeazze, che si andarono a schierare un miglio davanti a noi, come isole avanzate. Le galeazze erano sei, e dovevano mettersi a due per due all'innanzi di ciascuno dei nostri corpi, due per l'ala di Barbarigo, due per il centro di don Giovanni, due per l'ala del Doria. Se non che costui, comandato dall'argarsi verso il pieno del golfo, girò fin troppo il bordo allontanandosi al largo più di quanto si credeva opportuno. Per quella mossa si aprì una specie di varco sulla parte destra del nostro schieramento e le due galeazze che dovevano andare a proteggere il corno dei genovesi si trovarono un po' sperdute nel mezzo del mare.
Ma le altre furono pronte a scatenare tutto l'inferno dei cannoni di cui erano strapiene, immobili in mezzo al mare sotto quel peso come enormi tartarughe galleggianti. Sui turchi che avanzavano a tutta voga, senza più vele ai trinchetti per la caduta del vento, piovvero i colpi ed il fuoco in una terribile tempesta d'improvviso infuriante sul mare tranquillo. Davanti al nostro corpo di navi sparavano le galeazze di Francesco Duodo e di Andrea da Pesaro. Vidi le palle lanciate dal Duodo sfracassare il fanale più grande della Reale dei Turchi, che per altezza dominava il gruppo dei legni nemici avventati all'assalto. Un secondo colpo frantumò la spalla d'una galera vicina, un terzo mandò in pezzi il fasciame di un'altra, che si mise ad imbarcare acqua a fiotti sprofondando nel mare come in una sabbia. Uomini con i turbanti in capo si buttarono a nuoto dagli spalti divelti, tra remi spezzati, frammenti di chiglia, tronconi d'alberi dimezzati che cadevano da altre galere colpite travolgendo soldati e rematori, mentre il fuoco prendeva a divampare su questo e quel bordo illuminando le acque di inverosimili bagliori”
(Tratto da "Le cento battaglie che
hanno cambiato la storia", Paul K. Davis, 1999, Newton & Compton
Editori)
Pur trovandosi in
serie difficoltà, Venezia non volle che il controllo della Lega di Cognac fosse
affidato agli spagnoli. Filippo chiese che venisse dato a Don Giovanni d'
Austria, che aveva appena riportato una vittoria sui moriscos: fu accettato, a
patto che non prendesse alcuna iniziativa senza il benestare dei responsabili
di tutte le flotte alleate.
Fortunatamente
per la Lega, tuttavia, il ventiseienne comandante riuscì a ottenere il rispetto
e la fedeltà dei suoi subordinati: fatto positivo, dal momento che i vari
governi della Lega di Cognac avevano ciascuno i loro programmi. Venezia voleva
servirsi delle forze della lega per difendere Cipro dagli attacchi turchi, che
erano già in atto; Filippo era intenzionato a usarle per sconfiggere i pirati
barbareschi, così da poter controllare il Mediterraneo occidentale; Papa Pio
desiderava che tutto il Mediterraneo fosse sotto il dominio europeo, ritenendo
giustamente che, in tal modo, i possedimenti in Europa e in Africa dell'impero
ottomano sarebbero rimasti divisi, indebolendo qualsiasi ulteriore offensiva
turca in Europa. Alla fine, la chiave della vittoria fu la forza di carattere
dimostrata sia dal papa che da don Giovanni.
Il punto di
riunione fu il porto di Messina, in Sicilia, dove don Giovanni assunse il
comando di oltre 300 navi, per più di metà spagnole, mentre le altre erano
quasi tutte fornite da Venezia, anche se Filippo era stato costretto a
procurare soldati ai veneziani, cosa che non glieli rendeva più graditi; il
papa offrì 12 galee e 6 fregate.
In totale, la
flotta era composta da 208 galee, 6
galeazze e più di 100 tra
galeoni, fregate e brigantini.
Le galee
dell'epoca navigavano a vela e a remi, e presentavano poche differenze con le
antiche navi greche o romane; trasportavano soprattutto soldati.
I galeoni, le
fregate e i brigantini erano a vela, e avevano a bordo più cannoni che truppe.
Le galeazze
rappresentavano un ibrido dei tipi precedenti.
La flotta turca
era formata quasi esclusivamente da galee.
Allora, in
mare si combatteva in maniera non molto dissimile da quanto si faceva sulla
terraferma: in battaglia, le navi si accostavano l'una all'altra, e i soldati
che erano a bordo lottavano per difendere la propria e impadronirsi di quelle
nemiche.
Di conseguenza,
le imbarcazioni venivano più spesso catturate che distrutte.
Non c'è da
meravigliarsi se al comando vi fosse don Giovanni, un generale, dal momento che
le navi erano usate soprattutto per trasporto truppe e venivano manovrate in
formazioni simili a quelle adottate sul campo di battaglia.
Mentre le forze
della Lega di Cognac si stavano radunando, i Turchi erano occupati a Cipro: la
principale città fortificata dell'isola, Famagosta, era sotto assedio dal
maggio 1571; resistette fino al primo agosto, quando fu costretta ad arrendersi
per mancanza di polvere da sparo.
Il comandante
veneziano della città venne torturato a morte, e i suoi ufficiali trucidati:
ciò servì sia a rendere la flotta turca disponibile per l'azione, sia a
motivare i componenti della Lega, quando seppero del massacro.
I Turchi
trascorsero le settimane successive a saccheggiare le isole greche, per poi
radunarsi a Lepanto, nel golfo greco di Corinto.
Gli europei
rimasero ormeggiati per un certo periodo a Corfù, quindi, venuti a conoscenza
della sorte di Famagosta, salparono alla ricerca dei Turchi.
Alla notizia del
loro avvicinarsi, la flotta turca al comando di Ali Pascià, rinforzata da
alcuni vascelli algerini guidati da Uluch Ali, partì dirigendosi a ovest, verso
il golfo di Patrasso.
All'alba del 7 ottobre 1571, le due squadre
navali furono in vista l'una dell'altra.
Don Giovanni
affidò il contingente veneziano ad Augustino Barbarigo, sulla sinistra, con
l'ordine di tenersi più vicino possibile ai bassi fondali lungo capo Scrophia;
assunse egli stesso il comando del centro, mentre il celebre ammiraglio
genovese Giovanni Andrea Doria guidava una flotta mista di vascelli genovesi e
papali sul fianco destro.
Inoltre, don
Giovanni lasciò una squadra di riserva diretta dal marchese di Santa Cruz e
mise quattro delle sue ben armate galeazze in formazione avanzata per sfruttare
la loro superiore potenza di fuoco contro gli avversari.
La disposizione
di Ali Pascià rifletteva quella di don Giovanni, con Mahomet Sirocco che
fronteggiava i veneziani lungo capo Scrophia, egli stesso al comando del centro
e la flotta algerina di Uluch Ali sul fianco sinistro turco, di fronte ad
Andrea Doria.
Quando le due
flotte furono in formazione, don Giovanni salì su una piccola e veloce
imbarcazione e percorse lo schieramento, urlando parole di incoraggiamento e
ricevendo le acclamazioni dei suoi equipaggi.
Nel frattempo,
Ali Pascià stava dicendo agli schiavi cristiani ai remi delle galee che la
vittoria avrebbe significato la loro libertà.
Mentre le due
flotte si avvicinavano l'una all'altra, le galeazze sparsero il primo sangue,
perchè i cannoni a lunga gittata di cui erano armate superavano tutti quelli
turchi; ciò impedì alle navi di Ali Pascià, al centro, di avanzare, mentre i
contingenti laterali remavano in avanti, rompendo così lo schieramento turco.
Mahomet Scirocco
conosceva quelle acque meglio del suo avversario Barbarigo: navigando ancora
più sottocosta di lui, riuscì ad aggirare i veneziani sull'ala; Barbarigo
rimase ucciso, e la sua nave ammiraglia venne perduta e ripresa due volte.
Solo la cattura
di Scirocco dalla sua nave che stava affondando impedì ai Turchi di continuare
ad avanzare nei bassi fondali.
Sulla sinistra,
nel frattempo, Uluch Ali stava tentando di aggirare il fianco meridionale di
Andrea Doria: costringendo le navi genovesi ad accostare per fronteggiare la
manovra, provocò un vuoto tra esse e la squadra di centro di don Giovanni;
Uluch Ali fu pronto a sfruttare la situazione con le sue galee, che vennero
però respinte dal tempestivo arrivo delle navi di riserva al comando del
marchese di Santa Cruz.
Al centro, la
squadra di don Giovanni si trovava in vantaggio su quella di Ali Pascià, perché
poteva contare su cannoni più numerosi e di maggiore efficacia per provocare
danni da lunga distanza.
A distanza
ravvicinata, la superiore potenza di fuoco dei fucili a miccia usati dai
soldati europei produsse effetti micidiali tra i Turchi, che persero un gran
numero di uomini prima che le navi riuscissero ad avvicinarsi.
Infine,
prevalsero la superiorità numerica e la maggiore aggressività delle truppe
spagnole.
La battaglia
più cruenta fu Combattuta per la cattura della nave di Ali Pascià: furono
necessari tre assalti, prima che gli spagnoli riuscissero ad abbordare la nave
ammiraglia turca e rimanere a bordo.
Ormai con le
spalle al muro, Ali Pascià implorò di essere lasciato in vita, promettendo un
enorme riscatto, ma un soldato spagnolo lo decapitò.
La vista della
testa di Ali Pascià infilzata su una picca demoralizzò i Turchi, che, dopo la
morte del loro comandante, smisero ben presto di Combattere.
Uluch Ali fuggì
con le sue navi per mettersi Sotto la protezione dei cannoni della fortezza di
Lepanto (l'odierna Navpaktos), riuscendo però, mentre si ritirava, a infliggere
qualche grave danno agli europei che lo inseguivano.
L’annuncio della vittoria giungerà a Roma
ventitré giorni dopo, portato da messaggeri del Principe Colonna. La vittoria
fu attribuita all'intercessione della Vergine Maria, tanto che Papa Pio V nel 1572 istituì la festa di Santa Maria della Vittoria, successivamente
trasformata nella festa
del SS. Rosario, per celebrare l'anniversario della storica vittoria
ottenuta, si disse, per
intercessione dell'augusta Madre del Salvatore, Maria.
Conseguenze
La battaglia di Lepanto fu la prima grande
vittoria di un'armata o flotta cristiana occidentale contro l'Impero ottomano. La sua importanza fu perlopiù
psicologica, dato che fino a quel momento i turchi erano stati per decenni in
piena espansione territoriale e avevano precedentemente vinto tutte le
principali battaglie contro i cristiani d'oriente.
La scarsa coesione tra i vincitori impedì alle
forze alleate di sfruttare appieno la vittoria per ottenere una supremazia
duratura sugli Ottomani. Non solo: l'esercito cristiano non riconquistò neppure
l'isola di Cipro,
che era caduta da appena due mesi in possesso ottomano. Questo a causa del
volere di Filippo II,
il quale non voleva che i Veneziani acquisissero troppi vantaggi dalla
vittoria, visto che essi erano i più strenui rivali del progetto politico
spagnolo di dominio della penisola italiana.
Nel 1573 la Serenissima fu
quindi costretta a firmare un trattato di pace a condizioni poco favorevoli. Il Gran Visir Sokollu,
in quell'occasione, disse ai Veneziani che avrebbero potuto fidarsi più degli
ottomani che degli altri Stati europei, se solo avessero ceduto al volere del
Sultano.
Dal canto suo, l'Impero Ottomano, nella
persona del sultano, esprimeva all'ambasciatore veneziano a Costantinopoli
(presumibilmente un anno dopo Lepanto), le sensazioni della Porta sulla
sconfitta: Gli infedeli hanno
bruciacchiato la mia barba; crescerà nuovamente.
Poco dopo Lepanto, la Porta iniziò
effettivamente un'opera di ricostruzione della flotta che si concluse l'anno
successivo. A seguito di questo riarmo la marina turca riacquistò la
superiorità numerica nei confronti delle potenze cristiane, ma non riuscì a
conquistare una sostanziale supremazia nel Mediterraneo, soprattutto nella sua
metà occidentale. Le nuove navi turche infatti erano state costruite troppo in
fretta, tanto che l'ambasciatore veneziano disse che bastavano 70 galee ben
armate e ben equipaggiate per distruggere quella flotta costruita con legname
marcio e cannoni mal fusi.
La battaglia di Lepanto ebbe anche importanti
conseguenze all'interno del mondo musulmano, gli Hafsidi e
le varie Reggenze barbaresche governavano il Maghrebin nome del Sultano ottomano e sotto il suo protettorato,
soprattutto perché costretti dalla sua potente flotta e desiderosi di ottenere
protezione contro la Spagna. Dopo questa battaglia fu chiaro che la flotta
turca non era invincibile, mentre la Spagna, pur vittoriosa, era troppo
impegnata a reprimere la rivolta dei Paesi Bassi spagnoli, e quindi le Reggenze
barbaresche "rialzarono la testa", guadagnando spazi d'autonomia, o
dedicandosi nuovamente alla guerra di corsa, anche contro gli interessi
del Sultano. (fonte wiki)
Tra i protagonisti anche lo scrittore spagnolo
Miguel de Cervantes, Saavedra (Alcalá de Henares, 29
settembre 1547 – Madrid, 22
aprile 1616)
imbarcato nella galea Marquesa
che venne ferito e perse l'uso della mano sinistra; fu ricoverato a Messina, al
ritorno dalla spedizione navale, presso il Grande Ospedale dello Stretto, e si
dice che durante la degenza iniziò il Don Chisciotte
della Mancia.
Numerosissime furono, in
tutta Europa, le rappresentazioni artistiche realizzate negli anni
immediatamente successivi alla battaglia di Lepanto per celebrare la vittoria
delle truppe cristiane. Solo per restare in Italia, a Venezia l'episodio fu
dipinto da Andrea
Vicentino nel Palazzo Ducale a Venezia, sulle
pareti della Sala dello Scrutinio; la
sua opera sostituiva la Vittoria
di Lepanto di Tintoretto,
distrutta da un incendio nel 1577.
Sempre a Venezia, nelle Gallerie dell'Accademia è esposto il dipinto
di Paolo
Veronese Allegoria della battaglia di
Lepanto. A Pavia nella cappella del collegio Ghislieri è conservata
un'opera di Lazzaro
Baldi dal
titolo "La visione di San Pio V", dipinta nel 1673. A
Roma, Pio V commissionò numerosissime rappresentazioni della vittoria, tra cui
quella realizzata dal Vasari ed esposta presso la Sala
Regia dei Musei
Vaticani. Interessanti, per il controverso ruolo svolto nella
battaglia da Gianandrea Doria, i sei arazzi
di Bruxelles commissionati dallo
stesso ammiraglio genovese e ora esposti nella Sala del Naufragio del Palazzo del Principe a Genova;
un'avvertenza per la corretta interpretazione di queste preziose tessiture: i
disegni delle varie fasi della battaglia, realizzati da Lazzaro Calvi e Luca
Cambiaso, furono riprodotti dagli artigiani belgi in modo speculare
rendendo così ancor più problematica la comprensione dell'evento! Tra il 1686 e il 1718 Giacomo
Serpotta decorò
con stucchi l'Oratorio del Rosario di Santa
Cita a Palermo: uno
di questi stucchi rappresenta la Battaglia di Lepanto ed è una delle opere più
mirabili di questo artista. (fonte wiki)
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