Sono passati quasi 150 anni dalla sua morte, ma la leggenda del Lupo del Pollino ancora vive, una figura di Robin Hood lucano che rubava ai ricchi possidenti per aiutare le misere popolazioni, a cui si dedicano canzoni come la “Ballata del brigante” di Leonardo Ricciardi Terranova di Pollino (PZ).
Sì lui Antonio Franco, tra i più importanti esponenti del Grande Brigantaggio Post Unitario, del quale si hanno poche notizie come evidenzia lo storico Franco Molfese storico del brigantaggio: certe carte non si trovano più. Sono state distrutte o sono ancora nascoste negli archivi segreti di antiche famiglie di notabili, perché troppo compromettenti dato che molte hanno fatto il doppio gioco tra la dinastia dei Borbone di Napoli e i Savoia. Di certo Antonio Franco ha una caratteristica precisa; già sergente dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, da brigante si professò sempre combattente dei Borboni. “Sin dal principio della sua carriera brigantesca, Antonio Franco era molto convinto delle sue idee politiche filo borboniche tanto da rimetterci la vita e quella di molti altri suoi compagni e familiari.
la ballata del brigante di Leonardo Ricciardi
Portava con sé quasi sempre una
bandiera bianca gigliata che rappresentava la casa Borbonica e sempre, nei suoi
biglietti di avviso o ricattatori, si firmava come soldato, caporale o sergente
di Francesco II, concludendoli sempre con la frase “W. Francesco II”.
Proprio in piena Terra
di Marsilia, nei pressi della Falconara, poco dopo la metà di
agosto 1863, un significativo avvenimento ci fa più chiaramente capire la sua
personalità e ideologia. A seguito di trattative si incontra con Francesco
Lavalle, altro temuto capobanda nativo di Mongrassano (CS).
Si voleva organizzare, con altre bande, una comune azione eclatante come poi
realmente successe . Appena arrivata la banda dei cosentini, Franco chiede
a Lavalle qual era lo scopo della sua venuta. <<Perché
siamo costretti a guadagnare qualcosa… la mia banda è rimasta priva di
bisognevole>>, fu la risposta del loro capo. <<Voi dunque
cercate denaro?>>, gli disse ancora Franco. <<Sissignore! E tu
cosa cerchi?>>, replicò Lavalle. <<Io faccio il soldato di
Francesco II>>, rispose freddamente Antonio Franco.
In altri moltissimi casi, il Franco si
dichiarò soldato, caporale o sergente borbonico e in nome di questa carica,
forse realmente datagli dai comitati borbonici, compiva numerosi reati molto
simili ad azioni di guerriglia, lasciando spesso agli interessati persino delle
“ricevute” o lettere con la sua firma, il grado e, l’immancabile, “Viva
Francesco II”.
Il Franco però
non si limitava soltanto a questi episodi, ma a volte, nonostante la sua poca
propensione a scrivere correttamente in italiano (o meglio il napoletano),
diffondeva dei veri e propri proclami che poi spediva agli interessati o li
affiggeva in pubblici luoghi insieme anche a qualche bandiera bianca borbonica,
simile a quella che lo accompagnò, inseparabilmente, fino alla morte”. Fonte
http://ribellidelpollino.wordpress.com
Di quel poco che si consoce del
“Lupo del Pollino” si sa che : nacque l’8 ottobre del 1832, dal contadino
Pietro e dalla filatrice Antonia Serino e fu registrato come Antonio Giuseppe
Franco. Dopo qualche periodo di scuola iniziò a lavorare nei campi e come
pastore, presso un massaro di San Paolo Albanese e poi presso i Crocco di
Senise. Fu da ragazzo maltrattato dai padroni; costretti a guadagnarsi un pezzo
di pane facendo la vita da cani, forse fu la fame ad avviarlo ai primi suoi
piccoli furti che si basavano sull’arraffare una gallina, una forma di cacio e
un pezzo di prosciutto. Nel 1850, il giovane Antonio fu chiamato a “servire la
patria”, durante la quale imparò a scrivere qualcosa e diventerà
sergente. Ma come dirà , l’ex
cancelliere Francesco Camodeca di Castroregio (diventato brigante per pochi
mesi), Antonio Franco volle imparare meglio a scrivere e a leggere durante le
sue peripezie brigantesche: “mi costringeva a insegnargli a scrivere quando
pernottavamo nella masseria del signor “Miraglia di Terranova di Pollino”. Franco
tornò a Francavilla quando il governo borbonico cadde. Tornato nel suo paese
natale rincontrò Serafina Ciminelli, una ragazza che non nascondeva un certo
interesse verso di lui. La sorte vuole, però, che la ragazza era legata
all'allora sindaco del paese Dottor Grimaldi che alla saputa del ritorno di
Franco escogitò un tranello per aggirarlo. Il dott. Grimaldi scrisse una
lettera e si recò da Franco chiedendogli gentilmente di portarla a Lagonegro
dal Luogotenente, inoltre si raccomandò a Franco di non aprirla per nessuna
ragione al mondo. Forse questo non lo sapeva il povero capitano Grimaldi e
forse è pure vero che, ritenendolo analfabeta, anziché fargli una
raccomandazione presso il sottoprefetto di Lagonegro, scrisse invece che
“Antonio Franco è delinquente che merita di essere arrestato” ( fonte www.brigantaggio.net)
Antonio
accettò di buon grado ed era, anzi, onorato di fare un piacere ad una persona
nobile del suo paese e quindi partì il giorno successivo per la meta. Durante
il viaggio, nelle prossimità di Lauria, Antonio incontra un suo ex amico con il quale aveva
svolto il servizio militare, i due si salutarono e cenarono insieme, alla fine
Franco ci incuriosì molto e insieme al suo amico decise di leggere (aveva
imparato a leggere quando era un soldato) la lettera e constatò che il
contenuto era una vera e propria condanna nei suoi confronti, nella lettera
infatti, il Sindaco pregava di tenere in carcere Antonio Franco perché ex
sergente borbonico pericoloso per il loro governato. Franco, dunque, invertì la
sua rotta e preso dalla rabbia tornò al suo paese per tendere una trappola
all'uomo che lo voleva ingannare.Franco insieme a suoi amici attirò il sindaco facendo scorribande nel suo campo di grano, lo catturò e lo portò nelle alture sopra il paese sinnico. Dopo avergli fatto raccogliere della legna lo legò e lo bruciò vivo cavandogli addirittura gli occhi. Da quel momento Franco e i suoi pochi amici diventarono latitanti. La fama del brigante e dei suoi compagni si espanse a dismisura nel territorio del Pollino calabro-lucano, la costa jonica e nella vicina provincia del salernitano.
C'era però un problema che la banda si era posto, le famiglie già numerose erano scortate da altrettante numerose guardie e la banda da sola non ce l'avrebbe fatta. Servivano dunque complici e servivano in fretta, le famiglie, probabilmente alla sera sarebbero tornate. Antonio allora, decise di salire sul Pollino e si recò sulla sponda calabrese del massiccio. Qui vi agivano varie bande. Alla veduta dell'arrivo di Franco e gli altri le bande uscirono allo scoperto per vedere cosa potessero volere quegli intrusi. Franco conobbe Francesco Lavello, capo di una banda con pochi uomini, come la sua, gli propose l'allettante affare e il Lavello subito accettò, ma erano ancora pochi.
Allora la banda calabrese gli presentò un'altra banda quella di Egidio Pugliese, una banda molto grande e molto spietata che agiva nella zona di Cosenza. Ovviamente nemmeno la banda del Pugliese rifiutò e le tre bande con circa 25 uomini cominciarono a studiare il piano. Intanto mentre si posizionavano nel bosco di Castelluccio, il bosco Anginiello, un certo Magno Giuseppe, criminale di piccola taglia sfuggito alla giustizia si volle spontaneamente aggregare al gruppo. Non sapevano chi fosse, ma era un uomo molto prestante fisicamente e per quel colpo andava bene, poi essendo della zona poteva risultare molto utile.
“ La mattina del 23 agosto 1863
circa 15 gentiluomini di Senise, tra cui alcune signore, mentre tornavano dai
bagni di Maratea con carrozze e lettighe, scortati da circa 20 Guardie
Nazionali, in località Auziniello di Castelluccio Superiore, furono aggrediti
da circa 40 briganti della banda Pugliese, Lavalle, Franco, sotto il comando di
Antonio Franco e derubati di vestiti, alimenti, fucili, soldi e oggetti
preziosi. Nello scontro morirono 9 persone: 6 Guardie, il signore di Senise
Giovanni Tufarelli e 2 briganti. Dopo lo scontro i briganti lasciarono
libere le gentildonne Donna Luisa e Donna Maria Sole, liberarono 2 gentiluomini
dopo poche ore. Ci furono 11 sequestrati; 9 gentiluomini di Senise: Antonio
Tufarelli, Egidio Guerrieri, Francesco Persiani, Vincenzo Vitale, Antonio e
Raffaele Fanuele, Giuseppe Donnaperna, Giuseppe Barletta, Giuseppe Sole; e 2
carabinieri: Franchi e Cesano. Il Sole e don Antonio Fanuele furono liberati
subito dopo perché il primo era gravemente ferito, il secondo perché tra i
sequestrati c’era anche il figlio Raffaele. Portarono gli altri sulle montagne
del Pollino e li tennero prigionieri fino al pagamento del riscatto che fu di
circa 23.000 ducati, che i briganti divisero tra loro. Alla battaglia di
Castelluccio presero parte le bande di Egidio Pugliese, Francesco Lavalle e
Antonio Franco ed ebbe un posto di primo piano il brigante di Viggianello
Giuseppe Magno. Egidio Pugliese, detto Egidione era di San Giorgio Lucano, i
suoi compagni, spesso operanti con Antonio Franco, erano i fratelli Melidoro di
Valsinni, Giovani Labanca di Terranova di Pollino ed altri. Francesco Lavalle
era di Mongrassano, provincia di Cosenza, i suoi compagni erano 17, tutti
calabresi e famosi per l’evasione dal carcere di Montalto, mentre il
capobrigante era famoso in tutto il Cosentino per i sequestri di persona, gli
omicidi, i furti commessi, ma soprattutto per la clamorosa evasione dal Bagno
penale dell’ Isola di Santo Stefano. Tra i componenti della banda erano i
temutissimi Giovanni Bellusci di Mongrassano e Bruno Pinnola di Cavallerizzo di
Cerzeto. Antonio Franco era di Francavilla sul Sinni, i suoi compagni erano lucani,
Fiore Ciminelli di Francavilla, Francesco Saverio Cocchiararo di Latronico,
Vito lannelli di Castelsaraceno e calabresi come Carlo Di Napoli e Domenico Di
Pace di Saracena, Angelo Maria Cucci di Spezzano Albanese. Per molti studiosi
il Brigantaggio, finì l’ 8 dicembre 1861 con la morte di Borjes. Il
Brigantaggio del Lagonegrese e del Pollino, in particolare, non fu mai
politico, esso fu sempre “Brigantaggio comune, ossia manifestazione di
criminalità, di sete di rapine, di cieca vendetta, da parte della feccia delle
plebi contadine”. I Briganti, analfabeti e poco lungimiranti, dicevano di
combattere per la causa di Francesco II di Borbone. Il brigante Franco alla
vigilia dell’ assalto di Castelluccio, incontrandosi con gli altri malfattori e
col brigante Lavalle, confermò questo e aggiunse che “ad ogni modo bisogna
provvedere al necessario per vivere”. ( Molfese, Storia del Brigantaggio dopo
l’Unità, Milano 1961, p. 342).”
Franco e la Banda Sarcinari
La banda dei Saracinari era una
banda composta da una ventina di uomini e capitanata da Carlo DiNapoli e
Domenico Di Pace, nativi di Saracena,
in Calabria. Era una banda che con la sua azione delittuosa sparse il terrore e
lo sconforto tra le popolazioni del Pollino calabrese. La banda ebbe i primi
contatti con quella di Franco quando decise di voler trasferirsi nella parte
lucana del Pollino. Per capire bene l'azione delle due bande basta prendere in
considerazione le testimonianze di Francesco Bellizzi di San Basile, un giovane
agricoltore che lavora per conto di un ricco signore calabrese.
Il Bellizzi racconta:
« Il 15 agosto 1864 si presentò sul Pollino la
banda di Antonio Franco, armata fino ai denti, lo riconobbi subito perché il
Franco due anni prima mi aveva dato ordine di chiedere al mio padrone Vincenzo
Pace 12 paia di vestiti nuovi da brigante, 3 carabine e 3 pistole a due canne.
Il mio padrone, però, rifiutò e allora i briganti si rivolsero ai massari di
Pietro Tommaso dai quali ricevettero pane e caciocavalli, poi, la banda
disparve tra i monti.
La banda di Franco e i
Saracenari prima di passare in Basilicata bivaccò sui monti di Serragrifa,
mangiando pecore rubate. Dopo essersi divise le due bande si diedero
appuntamento sulle montagne sopra Francavilla. Nel luglio dello stesso anno il
Bellizzi racconta :
« Il capo banda
Franco che si qualifica sergente borbonico aveva catturato Fedele Marzano di
Rocco, di Morano calabro, e dettò al sequestrato una lettera con la quale il
Marzano chiedeva al padre 50.000 lire (non inviandoli sarebbe stato ucciso),
2 pistole a doppia canna e due some di roba da mangiare. »
|
(Bellizzi)
|
a lettera venne consegnata a
Leonardo Pugliese detto Mezzanotte di Morano. L'ostaggio venne trattato bene e
dopo 10 giorni fu liberato. Il Franco gli diede una lettera da consegnare al
Sindaco di Morano, lo stesso Marzano descriverà il Franco come un uomo furbo
che portava dietro una bandiera borbonica e parlava di politica incolpando lo
stato italiano di averlo ridotto a scorrere la campagna. I briganti nella
lettera al sindaco per dimostrargli il loro coraggio raccontarono di essere
stati a Morano a passeggiare alla Maddalena, verso le 2 di notte, di aver
mangiato e bevuto, di aver visto le guardie nazionali che giocavano a carte nel
posto di guardia e due carabinieri in perlustrazione. Intanto, il Marzano
padre, letta la lettera del Franco gli inviò subito 5.000 lire, 5 grossi pani,
prosciutti e vestiti.
Il Franco andò su tutte le
furie, dicendo che il Marzano non aveva a cuore per figlio e gli restituì la
roba, solo dopo che il Marzano gli fece avere altri 20.000 lire il Franco
liberò il figlio. Dopo quel colpo le due bande si divisero nuovamente. I saracenari
tornarono in Calabria,
« ...perché
quella è zona della banda di Franco, una banda astuta come i lupi, ma onesta
con gli altri, una banda con un coraggio fuori dal normale. »
|
Infatti, la banda di Franco,
grazie al suo coraggio, riuscì ad affrontare un semi esercito di guardie e
salvare la banda dei Saracenari che era stata colta di sorpresa dalle guardie
durante la notte.
Il 27 dicembre 1865 Antonio
Franco e Serafina Ciminelli con Di Napoli, Di Pace e Di Benedetto partiranno
alla volta di Latronico dove il
Capitano Gesualdi di Lagonegro gli aveva promesso dei nuovi passaporti, i briganti, intanto, saranno ospiti di un fidato amico del Capitano Gesualdi, un certo Venanzio Zambrotti, non a Latronico ma a Lagonegro.
In casa Zambrotti è grande festa con grandi banchetti
natalizi, Franco e gli altri si sentono al sicuro, il sig. Zambrotti presenta
al Franco un fidatissimo amico del Gesualdi, il sottoprefetto della guardia
nazionale Giovanni Di Lorenzo.
La sicurezza a cui si sentono
sottoposti ora i briganti è tanta, al punto che il gruppetto si permette di
passeggiare per il paese in attesa del Capitano Gesualdi. Per Franco è l'ultima
camminata in libertà, vede la gente normale che vive il periodo natalizio come
un momento speciale, maiali uccisi per ricavarne carne succulenta, proprio come
faceva la sua famiglia quando lui era piccolino. Pur provando ad immaginare il
suo futuro Franco non riusciva a realizzare nella sua mente nessuno scenario,
pensava che una volta avuti i passaporti, se la sarebbero cavati, lui e la sua
donna Teresa, come sempre, buttandosi in avventure burrascose.
Il tempo passa e il sig.
Zambrotti gli avverte che tra meno di mezz'ora si va tutti a tavola per una
cena natalizia che ricorderanno a lungo. Ben sette donne erano intende a
cucinare per quegli uomini, pasta e carne di ogni genere, in griglia al sugo o
fritta, e in più tanto, tantissimo vino. È il 28 dicembre del 1865,
sono le otto di sera e i briganti con il sig. Zambrotti stanno prendendo posto
nella tavola allestita per la serata. C'è la famiglia Zambrotti, composta da
circa dieci persone, un paio di amici del padrone di casa, un'altra decina
circa e ci sono loro, i briganti al numero di cinque.
Ma non solo ci sono due
ragazzini con la chitarra che allietano il banchetto con simpaticissime
canzoncine che creano tantissima ilarità tra quei briganti che solo pochi
giorni prima avevano conosciuto soltanto le emozioni opposte. Ma non c'è tempo
per i ricordi, quello che sta succedendo è sogno ad occhi aperti, una nuova
vita li aspetta e intanto li offre un natale fatto di banchetti e risate, di
vino e musichette. La serata proseguiva benissimo per tutto ma la sorpresa è lì
che li aspetta, Il Capitano Gesualdi tese loro una trappola, e i suoi complici,
sono tutti lì, la famiglia Zambrotti e ogni singola persona presente in quella
casa, altro non è che un complice del tradimento infame dell'amico Gesualdi.
Antonio Franco e gli altri non
lo sanno e non ci crederanno nemmeno dopo, non avranno tempo per crederci, non
avranno questa volta tempo per la vendetta. Il piano del Gesualdi sta andando
benissimo, i briganti sono inerti chiusi in una casa, avvinazzati e deboli
mentalmente, lui si sta dirigendo da loro con 45 uomini della guardia
nazionale, armati fino ai denti, il Capitano è pronto ad andargli a consegnare
il passaporto, ma non per espatriare dall'Italia ma in un altro mondo, quello
dei morti. Il Capitano fa circondare la casa Zambrotti da ben 25 uomini, che
con i fucili puntati verso le uscite della casa sono pronti a sparare al suo
ordine, altri 25 faranno irruzione nella casa appena dopo il segnale del sig.
Zambrotti che farà evacuare tutti i presenti prima dell'operazione militare.
Dalla casa si sentono risate e
suona di chitarra , poi pian piano si va sempre di più affievolendo il baccano.
Intorno a mezzanotte il signor Zambrotti fa cominciare ad uscire tutti i
presenti, e dopo aver lasciato anch'esso l'abitazione dà l'ok al Capitano.
L'irruzione avviene immediatamente, 25 guardie salgono velocemente le scale
strette e trovano i briganti avvinazzati e in dormi veglia. Alla vista di ciò,
Franco ha un sussulto, rimane immobilizzato, è stato tradito. Ma in quella
frazione di secondo i tre saracinari non rinunciarono alla resistenza e si
scagliarono contro il più numeroso gruppo avverso, la colluttazione fu
violentissima, il Franco e i tre calabresi quasi gli atterrano tutti a calci e
pugni, ma sono troppi, ogni tanto ne salgono altri con fucili puntati e i
briganti devono arrendersi.
Incredulo Franco, assieme alla
sua Serafina, viene legato con catene di ferro e caricato su di una carrozza,
così furbo, così astuto era caduto nelle mani della polizia in modo ingenuo. Il
Capitano Gesualdi non c'è, Franco durante il viaggio lo cerca con lo sguardo ma
non c'è. È l'epilogo di Franco e la sua banda, è l'epilogo anche per i capi dei
Saracinari. Il 30 dicembre 1865 Antonio
Franco fu condannato a morte a Potenza, condanna eseguita, dopo essere stato fotografato,
mediante fucilazione a Montereale. Le ultime parole di Antonio Franco restano
memorabili, quando si rivolge al prete e ai giudici: “Io non ho niente da dire
per discolparmi; pensate piuttosto a quella povera sventurata che mi seguì
nella mia vita di brigante”. Stessa sorte toccò ai Saracinari mentre per
Serafina si prospettò una condanna ai lavori forzati per ben 15 anni che non
scontò completamente perché morì per setticemia nel carcere stesso.
I COMPONENTI più conosciuti della banda
Antonio Franco: nato a Francavilla in Sinni
l’8ottobre 1832, da Pietro e Antonia Serino, filatrice. Al comune è scritto
Giuseppe Antonio di Franco. Viene presentato come bracciale, celibe, letterato,
già condannato per furto qualificato, con sentenza del 10 maggio 1844,
dall’abolita Gran Corte Criminale di Potenza. Soldato sbandato del disciolto
esercito borbonico, Reggimento Re, Artiglieria, 2° Compagnia, leva 1854,
capobanda. . Processato, condannato a morte e fucilato il 31 dicembre 1865.
Serafina Ciminelli: nata a
Francavilla in Sinni il 5 febbraio 1844 sorella di Fiore eTeresa ,Nubile
illetterata, di professione filatrice. Seguì la banda Franco per ribellarsi
all’ambiente locale assai ostile con la famiglia Ciminelli, e perché affascinata
dalla figura del capo banda, tando da diventare la sua donna. fu arrestata a
Lagonegro, alla fine di novembre 1865. Processata, condannata al carcere, morì
nel carcere di Potenza il 12.novembre 1866 per una infiammazione al
perineo.
Fiore Ciminelli: nato a
Francavilla sul Sinni il 30 maggio 1846, Gualano ,celibe illetterato datosi
alla macchia nel settembre 1863. E’ fratello di Serafina e Teresa, le due
brigantesse della stessa comitiva. E’ implicato in quasi tutti i reati della
banda Franco. Arrestato con gli altri componenti della comitiva nel novembre
1865. Processato, condannato ai lavori forzati a vita è scampato alla
fucilazione perchè minorenne.
Francesco Saverio Cocchiararo: alias Canonico .Nato a Latronico il 27 aprile
1834. Celibe, illetterato, contadino,prima soldato borbonico, infine sbandato e
disertore dell’esercito unitario. Fece parte della banda De Luca alias Scaliero
e poi quella di Franco. Fu arrestato il 14 dicembre 1865, condannato e fucilato
con il resto della banda Franco il 31 dicembre
“I SARACINARI”
Carlo Di Napoli:Il capo
dei Saracinari, nato a Saracena (CS) il 27 agosto 1834. Figlio di Lorenzo
e di Domenica Tolisano, bracciale, illitterato, ammogliato con prole.Nel 1856 venne condannato per omicidio , inquisito
per furto, si è dato al brigantaggio nel 1861 Di Napoli è uno dei componenti
fissi della banda Franco partecipando a quasi tutte le azioni brigantesche, con
la quale fu arrestato a Lagonegro, alla fine di novembre 1865. Processato,
condannato a morte e fucilato il 31 dicembre dello stesso anno.
Domenico Di Pace: alias
Pronico, cugino del Di Napoli. Nato a Saracena l’8 sett. 1836 da Caterina e
Stefano Salerno. Bracciale, celibe, illitterato. Di Pace fu arrestato,
processato, condannato e fucilato, insieme agli altri della sua banda.
Vincenzo Di Benedetto: alias
Cipollino di Saracena (CS), figlio di Innocenzo e di Maria Gagliardi. Nato il
18 nov. 1839. Celibe, illitterato. Ex soldato faceva parte del 4° Battaglione
Cacciatori dell’esercito borbonico, verso la fine del ’60 si è dato alla
macchia. E’ uno degli ultimi componenti dei ” SARACINARI”. Al comune di Potenza
ci sono gli atti di morte dei suoi compaesani Domenico Di Pace e Carlo Di
Napoli, fucilati con Antonio Franco il 30 dic. 1865. Tra i saracinari c’erano Giuseppe
Rizzo di Morano Antonio Viola (panzanella), Biase Scirgulea, Domenico Viola e
Gennaro Pugliese.
I due Pentiti, spietati accusatori della Banda Franco
DomenicoViola:alias Pilillo di Saracena. Fu il
pentito più noto della banda dei “Saracinari-Franco”. Voleva vendicarsi del suo
padrone e scoprì che era amico dei briganti. Viola fu processato dal Tribunale
Militare di Cosenza e condannato a soli 10 anni di lavori forzati.
Gennaro Pugliese: proveniva
da San Basile renitente alla leva si era aggregato ai Saracinari nel 1862,
passo anche lui per la banda Franco. Fu il primo pentito del brigantaggio del
Pollino.
Tutti
i componenti della banda rinvenuti tra gli archivi di stato e le
dichiarazione sentenze dei tribunali del periodo 1860-1865.
FRANCO ANTONIO (Francavilla in Sinni)
ABITANTE Vincenzo (Francavilla in
Sinni)
BERARDI Francesco (Mangone -Cs)
BLUMETTI Franceso (Casalnuovo-Cs)
BUONOMO Giuseppe (S. Lorenzo B.zzi)
CAMODECA Francesco (Castroregio)
CAPPARELLI Gennaro (Santa Caterina-Cs)
CARLICCHIO Egidio (Corleto)
CARRIERI Giuseppe (Avigliano)
CARUSO Domenico -Gendarme- (Francavilla in S.)
CIMINELLI Fiore (Francavilla
in S-)
CIMINELLI Lattanzio (Francavilla in S.)
CIMINELLIL1 Serafina (Francavilla
in S.)
CIMINELLI Teresa (Francavilla
in S.)
CIRIGLIANO Giuseppe Cucinière (Terranova P.)
COCCHIARARO Francesco Saverio -Canonico- (Latronico)
CONTE Domenico (Castronuovo)
CUCCI Angelo Maria – Cucciariegli – (Spezzano Albanese-)
DAMIANO Nicola ( Francavilla in S.)
DATTILO Giovanni (Terranova di Pollino)
DEL RUBBIO Giuseppe (Francavilla in S.)
D’ELIA Francesco (Oriolo)
DE SANTO Domenico (?)
DI BENEDETTO Vincenzo (Saracena)
DE LUCA Nicola Maria Scaliero (Latronico)
DI MARE Vito Malomo
(Castelsaraceno)
DI PACE Domenico (Saracena)
FILARDI Antonio (Castelluccio)
FLORIO Egidio (Castelsaraceno)
FRANCOMANO Rosario (Noepoli)
GENOVESE Giuseppe Scepp’a
Monaca- (Terranova
P.)
GESUALDI Vincenzo (Latronico)
GIOIA Nicola (Castelluccio)
GIORDANO Egidio (Castelluccio)
GRAMIGNA Fiore (Francavilla in S.)
GU ARINO Egidio (
Latronico)
IANNELLI Vito (Castelsaraceno)
IANNIBELLI Egidio (Francavilla)
IANNUZZI Saverio, lo
Zoppo (S.Donato Ninea-CS)
LABANCA Giovanni (Terranova
di Pollino)
LAVALLE Francesco (Mongrassano)
LEPORACE Saverio (S. Sosti-Cs)
LIBORIO (da Corleto)
MAGNO Giuseppe (Viggianello)
MAINIERI Prospero (Latronico)
MARINO Alessandro (Castronuovo)
MARINO Nicola (del Salernitano)
MASINI Angelo Antonio Zappatore – (Marsicovetere)
MATURO Egidio -Pettinicchio-(La.tronico)
MELIDORO Angelo (Favale)
MELIDORO Giuseppe (Favale)
MINIERE Vincenzo (Latronico?)
MIRAGLIA Francesco (Terranova di Pollino)
NOVELLI Giuseppe (Cavallerizzo di Cerzeto-CS )
PADULA Angelo Maria (Stigliano)
PALUMBO Carmine (del Salernitano)
PUGLIESE Egidio -Egidione
(S. Giorgio L.)
PUGLIESE Gennaro (S. Basile-CS)
RIZZO Giuseppe (Morano)
SAMMARTINO Nicola -Mowrarao-(Castelluccio)
SANTANELLO Mattia (Castelluccio)
SCIRGALEA Biase (Saracena)
SISINNI Egido (Latronico)
SISINNI Saverio (Latronico)
TANCREDI Giuseppe (Terranova di P.)
TROIANO PAPPADA’ (Castroregio)
TUCCI Egidio – Contristo
– (Latronico)
VIOLA Antonio -Panzanella
– (Saracena)
VIOLA Domenico- Pillilo – (Saracena
VIOLA Francesco – Pedatella- (Latronico)
VITALE Domenico (S.Giorgio L.)
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