giovedì 8 ottobre 2015

FRANCAVILLA SUL SINNI 8 OTTOBRE 1832 NASCE ANTONIO FRANCO IL LUPO DEL POLLINO



Sono passati quasi 150 anni dalla sua morte, ma la leggenda del Lupo del Pollino ancora vive, una figura di Robin Hood lucano che rubava ai  ricchi possidenti per aiutare le misere popolazioni, a cui si dedicano canzoni come la “Ballata del brigante” di  Leonardo Ricciardi Terranova di Pollino (PZ).

 Sì lui Antonio Franco, tra i più importanti esponenti del Grande Brigantaggio Post Unitario, del quale si hanno poche notizie come evidenzia lo storico  Franco Molfese storico del brigantaggio: certe carte non si trovano più. Sono state distrutte o sono ancora nascoste negli archivi segreti di antiche famiglie di notabili, perché troppo compromettenti dato che molte hanno fatto il doppio gioco tra la dinastia dei Borbone di Napoli e i Savoia. Di certo Antonio Franco ha una caratteristica precisa; già sergente dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, da brigante si professò sempre combattente dei Borboni. “Sin dal principio della sua carriera brigantesca, Antonio Franco era molto convinto delle sue idee politiche filo borboniche tanto da rimetterci la vita e quella di molti altri suoi compagni e familiari.


la ballata del brigante di Leonardo Ricciardi 


Portava con sé quasi sempre una bandiera bianca gigliata che rappresentava la casa Borbonica e sempre, nei suoi biglietti di avviso o ricattatori, si firmava come soldato, caporale o sergente di Francesco II, concludendoli sempre con la frase “W. Francesco II”.

Proprio in piena Terra di Marsilia, nei pressi della Falconara, poco dopo la metà di agosto 1863, un significativo avvenimento ci fa più chiaramente capire la sua personalità e ideologia. A seguito di trattative si incontra con Francesco Lavalle, altro temuto capobanda nativo di Mongrassano (CS). Si voleva organizzare, con altre bande, una comune azione eclatante come poi realmente successe . Appena arrivata la banda dei cosentini, Franco chiede a Lavalle qual era lo scopo della sua venuta. <<Perché siamo costretti a guadagnare qualcosa… la mia banda è rimasta priva di bisognevole>>, fu la risposta del loro capo. <<Voi dunque cercate denaro?>>, gli disse ancora Franco. <<Sissignore! E tu cosa cerchi?>>, replicò Lavalle. <<Io faccio il soldato di Francesco II>>, rispose freddamente Antonio Franco.
In altri moltissimi casi, il Franco si dichiarò soldato, caporale o sergente borbonico e in nome di questa carica, forse realmente datagli dai comitati borbonici, compiva numerosi reati molto simili ad azioni di guerriglia, lasciando spesso agli interessati persino delle “ricevute” o lettere con la sua firma, il grado e, l’immancabile, “Viva Francesco II”.

Il Franco però non si limitava soltanto a questi episodi, ma a volte, nonostante la sua poca propensione a scrivere correttamente in italiano (o meglio il napoletano), diffondeva dei veri e propri proclami che poi spediva agli interessati o li affiggeva in pubblici luoghi insieme anche a qualche bandiera bianca borbonica, simile a quella che lo accompagnò, inseparabilmente, fino alla morte”. Fonte  http://ribellidelpollino.wordpress.com
Di quel poco che si consoce del “Lupo del Pollino” si sa che : nacque l’8 ottobre del 1832, dal contadino Pietro e dalla filatrice Antonia Serino e fu registrato come Antonio Giuseppe Franco. Dopo qualche periodo di scuola iniziò a lavorare nei campi e come pastore, presso un massaro di San Paolo Albanese e poi presso i Crocco di Senise. Fu da ragazzo maltrattato dai padroni; costretti a guadagnarsi un pezzo di pane facendo la vita da cani, forse fu la fame ad avviarlo ai primi suoi piccoli furti che si basavano sull’arraffare una gallina, una forma di cacio e un pezzo di prosciutto. Nel 1850, il giovane Antonio fu chiamato a “servire la patria”, durante la quale imparò  a scrivere qualcosa e diventerà sergente.  Ma come dirà , l’ex cancelliere Francesco Camodeca di Castroregio (diventato brigante per pochi mesi), Antonio Franco volle imparare meglio a scrivere e a leggere durante le sue peripezie brigantesche: “mi costringeva a insegnargli a scrivere quando pernottavamo nella masseria del signor “Miraglia di Terranova di Pollino”. Franco tornò a Francavilla quando il governo borbonico cadde. Tornato nel suo paese natale rincontrò Serafina Ciminelli, una ragazza che non nascondeva un certo interesse verso di lui. La sorte vuole, però, che la ragazza era legata all'allora sindaco del paese Dottor Grimaldi che alla saputa del ritorno di Franco escogitò un tranello per aggirarlo. Il dott. Grimaldi scrisse una lettera e si recò da Franco chiedendogli gentilmente di portarla a Lagonegro dal Luogotenente, inoltre si raccomandò a Franco di non aprirla per nessuna ragione al mondo. Forse questo non lo sapeva il povero capitano Grimaldi e forse è pure vero che, ritenendolo analfabeta, anziché fargli una raccomandazione presso il sottoprefetto di Lagonegro, scrisse invece che “Antonio Franco è delinquente che merita di essere arrestato” ( fonte www.brigantaggio.net)
Antonio accettò di buon grado ed era, anzi, onorato di fare un piacere ad una persona nobile del suo paese e quindi partì il giorno successivo per la meta. Durante il viaggio, nelle prossimità di Lauria, Antonio incontra un suo ex amico con il quale aveva svolto il servizio militare, i due si salutarono e cenarono insieme, alla fine Franco ci incuriosì molto e insieme al suo amico decise di leggere (aveva imparato a leggere quando era un soldato) la lettera e constatò che il contenuto era una vera e propria condanna nei suoi confronti, nella lettera infatti, il Sindaco pregava di tenere in carcere Antonio Franco perché ex sergente borbonico pericoloso per il loro governato. Franco, dunque, invertì la sua rotta e preso dalla rabbia tornò al suo paese per tendere una trappola all'uomo che lo voleva ingannare.
Franco insieme a suoi amici attirò il sindaco facendo scorribande nel suo campo di grano, lo catturò e lo portò nelle alture sopra il paese sinnico. Dopo avergli fatto raccogliere della legna lo legò e lo bruciò vivo cavandogli addirittura gli occhi. Da quel momento Franco e i suoi pochi amici diventarono latitanti. La fama del brigante e dei suoi compagni si espanse a dismisura nel territorio del Pollino calabro-lucano, la costa jonica e nella vicina provincia del salernitano.

La banda di Franco assalì parecchi uomini importanti derubandoli e chiedendo poi il riscatto, se tutto andava liscio la banda rilasciava gli ostaggi ma se un solo puntino del piano andava storto i lupi non si facevano scrupoli. Ma adesso la banda aveva studiato un piano allettante, alcune famiglie nobilissime di Senise si erano recate a Maratea per i bagni d'estate e per farlo avevano attraversato i boschi di Castelluccio. La banda capì subito che quello era un colpo da non perdere, le famiglie in questione, erano i Sole, i Donnaperna, i Tufarelli e i Marcone, erano ricchissimi e avrebbero sicuramente pagato qualsiasi riscatto.
C'era però un problema che la banda si era posto, le famiglie già numerose erano scortate da altrettante numerose guardie e la banda da sola non ce l'avrebbe fatta. Servivano dunque complici e servivano in fretta, le famiglie, probabilmente alla sera sarebbero tornate. Antonio allora, decise di salire sul Pollino e si recò sulla sponda calabrese del massiccio. Qui vi agivano varie bande. Alla veduta dell'arrivo di Franco e gli altri le bande uscirono allo scoperto per vedere cosa potessero volere quegli intrusi. Franco conobbe Francesco Lavello, capo di una banda con pochi uomini, come la sua, gli propose l'allettante affare e il Lavello subito accettò, ma erano ancora pochi.
Allora la banda calabrese gli presentò un'altra banda quella di Egidio Pugliese, una banda molto grande e molto spietata che agiva nella zona di Cosenza. Ovviamente nemmeno la banda del Pugliese rifiutò e le tre bande con circa 25 uomini cominciarono a studiare il piano. Intanto mentre si posizionavano nel bosco di Castelluccio, il bosco Anginiello, un certo Magno Giuseppe, criminale di piccola taglia sfuggito alla giustizia si volle spontaneamente aggregare al gruppo. Non sapevano chi fosse, ma era un uomo molto prestante fisicamente e per quel colpo andava bene, poi essendo della zona poteva risultare molto utile.

“ La mattina del 23 agosto 1863 circa 15 gentiluomini di Senise, tra cui alcune signore, mentre tornavano dai bagni di Maratea con carrozze e lettighe, scortati da circa 20 Guardie Nazionali, in località Auziniello di Castelluccio Superiore, furono aggrediti da circa 40 briganti della banda Pugliese, Lavalle, Franco, sotto il comando di Antonio Franco e derubati di vestiti, alimenti, fucili, soldi e oggetti preziosi. Nello scontro morirono 9 persone: 6 Guardie, il signore di Senise Giovanni Tufarelli e 2 briganti.  Dopo lo scontro i briganti lasciarono libere le gentildonne Donna Luisa e Donna Maria Sole, liberarono 2 gentiluomini dopo poche ore. Ci furono 11 sequestrati; 9 gentiluomini di Senise: Antonio Tufarelli, Egidio Guerrieri, Francesco Persiani, Vincenzo Vitale, Antonio e Raffaele Fanuele, Giuseppe Donnaperna, Giuseppe Barletta, Giuseppe Sole; e 2 carabinieri: Franchi e Cesano. Il Sole e don Antonio Fanuele furono liberati subito dopo perché il primo era gravemente ferito, il secondo perché tra i sequestrati c’era anche il figlio Raffaele. Portarono gli altri sulle montagne del Pollino e li tennero prigionieri fino al pagamento del riscatto che fu di circa 23.000 ducati, che i briganti divisero tra loro. Alla battaglia di Castelluccio presero parte le bande di Egidio Pugliese, Francesco Lavalle e Antonio Franco ed ebbe un posto di primo piano il brigante di Viggianello Giuseppe Magno. Egidio Pugliese, detto Egidione era di San Giorgio Lucano, i suoi compagni, spesso operanti con Antonio Franco, erano i fratelli Melidoro di Valsinni, Giovani Labanca di Terranova di Pollino ed altri. Francesco Lavalle era di Mongrassano, provincia di Cosenza, i suoi compagni erano 17, tutti calabresi e famosi per l’evasione dal carcere di Montalto, mentre il capobrigante era famoso in tutto il Cosentino per i sequestri di persona, gli omicidi, i furti commessi, ma soprattutto per la clamorosa evasione dal Bagno penale dell’ Isola di Santo Stefano. Tra i componenti della banda erano i temutissimi Giovanni Bellusci di Mongrassano e Bruno Pinnola di Cavallerizzo di Cerzeto. Antonio Franco era di Francavilla sul Sinni, i suoi compagni erano lucani, Fiore Ciminelli di Francavilla, Francesco Saverio Cocchiararo di Latronico, Vito lannelli di Castelsaraceno e calabresi come Carlo Di Napoli e Domenico Di Pace di Saracena, Angelo Maria Cucci di Spezzano Albanese. Per molti studiosi il Brigantaggio, finì l’ 8 dicembre 1861 con la morte di Borjes. Il Brigantaggio del Lagonegrese e del Pollino, in particolare, non fu mai politico, esso fu sempre “Brigantaggio comune, ossia manifestazione di criminalità, di sete di rapine, di cieca vendetta, da parte della feccia delle plebi contadine”. I Briganti, analfabeti e poco lungimiranti, dicevano di combattere per la causa di Francesco II di Borbone. Il brigante Franco alla vigilia dell’ assalto di Castelluccio, incontrandosi con gli altri malfattori e col brigante Lavalle, confermò questo e aggiunse che “ad ogni modo bisogna provvedere al necessario per vivere”. ( Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1961, p. 342).”
Franco e la Banda Sarcinari
La banda dei Saracinari era una banda composta da una ventina di uomini e capitanata da Carlo DiNapoli e Domenico Di Pace, nativi di Saracena, in Calabria. Era una banda che con la sua azione delittuosa sparse il terrore e lo sconforto tra le popolazioni del Pollino calabrese. La banda ebbe i primi contatti con quella di Franco quando decise di voler trasferirsi nella parte lucana del Pollino. Per capire bene l'azione delle due bande basta prendere in considerazione le testimonianze di Francesco Bellizzi di San Basile, un giovane agricoltore che lavora per conto di un ricco signore calabrese.
Il Bellizzi racconta:

« Il 15 agosto 1864 si presentò sul Pollino la banda di Antonio Franco, armata fino ai denti, lo riconobbi subito perché il Franco due anni prima mi aveva dato ordine di chiedere al mio padrone Vincenzo Pace 12 paia di vestiti nuovi da brigante, 3 carabine e 3 pistole a due canne. Il mio padrone, però, rifiutò e allora i briganti si rivolsero ai massari di Pietro Tommaso dai quali ricevettero pane e caciocavalli, poi, la banda disparve tra i monti.



La banda di Franco e i Saracenari prima di passare in Basilicata bivaccò sui monti di Serragrifa, mangiando pecore rubate. Dopo essersi divise le due bande si diedero appuntamento sulle montagne sopra Francavilla. Nel luglio dello stesso anno il Bellizzi racconta :
« Il capo banda Franco che si qualifica sergente borbonico aveva catturato Fedele Marzano di Rocco, di Morano calabro, e dettò al sequestrato una lettera con la quale il Marzano chiedeva al padre 50.000 lire (non inviandoli sarebbe stato ucciso), 2 pistole a doppia canna e due some di roba da mangiare. »
(Bellizzi)
a lettera venne consegnata a Leonardo Pugliese detto Mezzanotte di Morano. L'ostaggio venne trattato bene e dopo 10 giorni fu liberato. Il Franco gli diede una lettera da consegnare al Sindaco di Morano, lo stesso Marzano descriverà il Franco come un uomo furbo che portava dietro una bandiera borbonica e parlava di politica incolpando lo stato italiano di averlo ridotto a scorrere la campagna. I briganti nella lettera al sindaco per dimostrargli il loro coraggio raccontarono di essere stati a Morano a passeggiare alla Maddalena, verso le 2 di notte, di aver mangiato e bevuto, di aver visto le guardie nazionali che giocavano a carte nel posto di guardia e due carabinieri in perlustrazione. Intanto, il Marzano padre, letta la lettera del Franco gli inviò subito 5.000 lire, 5 grossi pani, prosciutti e vestiti.
Il Franco andò su tutte le furie, dicendo che il Marzano non aveva a cuore per figlio e gli restituì la roba, solo dopo che il Marzano gli fece avere altri 20.000 lire il Franco liberò il figlio. Dopo quel colpo le due bande si divisero nuovamente. I saracenari tornarono in Calabria,
« ...perché quella è zona della banda di Franco, una banda astuta come i lupi, ma onesta con gli altri, una banda con un coraggio fuori dal normale. »
Infatti, la banda di Franco, grazie al suo coraggio, riuscì ad affrontare un semi esercito di guardie e salvare la banda dei Saracenari che era stata colta di sorpresa dalle guardie durante la notte.
Il 27 dicembre 1865 Antonio Franco e Serafina Ciminelli con Di Napoli, Di Pace e Di Benedetto partiranno alla volta di Latronico dove il Capitano Gesualdi di Lagonegro  gli aveva promesso dei nuovi passaporti, i briganti, intanto, saranno ospiti di un fidato amico del Capitano Gesualdi, un certo Venanzio Zambrotti, non a Latronico ma a Lagonegro. 
In casa Zambrotti è grande festa con grandi banchetti natalizi, Franco e gli altri si sentono al sicuro, il sig. Zambrotti presenta al Franco un fidatissimo amico del Gesualdi, il sottoprefetto della guardia nazionale Giovanni Di Lorenzo.
La sicurezza a cui si sentono sottoposti ora i briganti è tanta, al punto che il gruppetto si permette di passeggiare per il paese in attesa del Capitano Gesualdi. Per Franco è l'ultima camminata in libertà, vede la gente normale che vive il periodo natalizio come un momento speciale, maiali uccisi per ricavarne carne succulenta, proprio come faceva la sua famiglia quando lui era piccolino. Pur provando ad immaginare il suo futuro Franco non riusciva a realizzare nella sua mente nessuno scenario, pensava che una volta avuti i passaporti, se la sarebbero cavati, lui e la sua donna Teresa, come sempre, buttandosi in avventure burrascose.
Il tempo passa e il sig. Zambrotti gli avverte che tra meno di mezz'ora si va tutti a tavola per una cena natalizia che ricorderanno a lungo. Ben sette donne erano intende a cucinare per quegli uomini, pasta e carne di ogni genere, in griglia al sugo o fritta, e in più tanto, tantissimo vino. È il 28 dicembre del 1865, sono le otto di sera e i briganti con il sig. Zambrotti stanno prendendo posto nella tavola allestita per la serata. C'è la famiglia Zambrotti, composta da circa dieci persone, un paio di amici del padrone di casa, un'altra decina circa e ci sono loro, i briganti al numero di cinque.
Ma non solo ci sono due ragazzini con la chitarra che allietano il banchetto con simpaticissime canzoncine che creano tantissima ilarità tra quei briganti che solo pochi giorni prima avevano conosciuto soltanto le emozioni opposte. Ma non c'è tempo per i ricordi, quello che sta succedendo è sogno ad occhi aperti, una nuova vita li aspetta e intanto li offre un natale fatto di banchetti e risate, di vino e musichette. La serata proseguiva benissimo per tutto ma la sorpresa è lì che li aspetta, Il Capitano Gesualdi tese loro una trappola, e i suoi complici, sono tutti lì, la famiglia Zambrotti e ogni singola persona presente in quella casa, altro non è che un complice del tradimento infame dell'amico Gesualdi.

Antonio Franco e gli altri non lo sanno e non ci crederanno nemmeno dopo, non avranno tempo per crederci, non avranno questa volta tempo per la vendetta. Il piano del Gesualdi sta andando benissimo, i briganti sono inerti chiusi in una casa, avvinazzati e deboli mentalmente, lui si sta dirigendo da loro con 45 uomini della guardia nazionale, armati fino ai denti, il Capitano è pronto ad andargli a consegnare il passaporto, ma non per espatriare dall'Italia ma in un altro mondo, quello dei morti. Il Capitano fa circondare la casa Zambrotti da ben 25 uomini, che con i fucili puntati verso le uscite della casa sono pronti a sparare al suo ordine, altri 25 faranno irruzione nella casa appena dopo il segnale del sig. Zambrotti che farà evacuare tutti i presenti prima dell'operazione militare.
Dalla casa si sentono risate e suona di chitarra , poi pian piano si va sempre di più affievolendo il baccano. Intorno a mezzanotte il signor Zambrotti fa cominciare ad uscire tutti i presenti, e dopo aver lasciato anch'esso l'abitazione dà l'ok al Capitano. L'irruzione avviene immediatamente, 25 guardie salgono velocemente le scale strette e trovano i briganti avvinazzati e in dormi veglia. Alla vista di ciò, Franco ha un sussulto, rimane immobilizzato, è stato tradito. Ma in quella frazione di secondo i tre saracinari non rinunciarono alla resistenza e si scagliarono contro il più numeroso gruppo avverso, la colluttazione fu violentissima, il Franco e i tre calabresi quasi gli atterrano tutti a calci e pugni, ma sono troppi, ogni tanto ne salgono altri con fucili puntati e i briganti devono arrendersi.

Incredulo Franco, assieme alla sua Serafina, viene legato con catene di ferro e caricato su di una carrozza, così furbo, così astuto era caduto nelle mani della polizia in modo ingenuo. Il Capitano Gesualdi non c'è, Franco durante il viaggio lo cerca con lo sguardo ma non c'è. È l'epilogo di Franco e la sua banda, è l'epilogo anche per i capi dei Saracinari. Il 30 dicembre 1865 Antonio Franco fu condannato a morte a Potenza, condanna eseguita, dopo essere stato fotografato, mediante fucilazione a Montereale. Le ultime parole di Antonio Franco restano memorabili, quando si rivolge al prete e ai giudici: “Io non ho niente da dire per discolparmi; pensate piuttosto a quella povera sventurata che mi seguì nella mia vita di brigante”. Stessa sorte toccò ai Saracinari mentre per Serafina si prospettò una condanna ai lavori forzati per ben 15 anni che non scontò completamente perché morì per setticemia nel carcere stesso.


I COMPONENTI più conosciuti della banda
 Antonio Franco: nato a Francavilla in Sinni l’8ottobre 1832, da Pietro e Antonia Serino, filatrice. Al comune è scritto Giuseppe Antonio di Franco. Viene presentato come bracciale, celibe, letterato, già condannato per furto qualificato, con sentenza del 10 maggio 1844, dall’abolita Gran Corte Criminale di Potenza. Soldato sbandato del disciolto esercito borbonico, Reggimento Re, Artiglieria, 2° Compagnia, leva 1854, capobanda. . Processato, condannato a morte e fucilato il 31 dicembre 1865.
 Serafina Ciminelli: nata a Francavilla in Sinni il 5 febbraio 1844 sorella di Fiore eTeresa ,Nubile illetterata, di professione filatrice. Seguì la banda Franco per ribellarsi all’ambiente locale assai ostile con la famiglia Ciminelli, e perché affascinata dalla figura del capo banda, tando da diventare la sua donna. fu arrestata a Lagonegro, alla fine di novembre 1865. Processata, condannata al carcere, morì nel carcere di Potenza il 12.novembre 1866  per una infiammazione al perineo.
 Fiore Ciminelli: nato a Francavilla sul Sinni il 30 maggio 1846, Gualano ,celibe illetterato datosi alla macchia nel settembre 1863. E’ fratello di Serafina e Teresa, le due brigantesse della stessa comitiva. E’ implicato in quasi tutti i reati della banda Franco. Arrestato con gli altri componenti della comitiva nel novembre 1865. Processato, condannato ai lavori forzati a vita è scampato alla fucilazione perchè minorenne.
 Francesco Saverio Cocchiararo: alias Canonico .Nato a Latronico il 27 aprile 1834. Celibe, illetterato, contadino,prima soldato borbonico, infine sbandato e disertore dell’esercito unitario. Fece parte della banda De Luca alias Scaliero e poi quella di Franco. Fu arrestato il 14 dicembre 1865, condannato e fucilato con il resto della banda Franco il 31 dicembre
“I SARACINARI”
 Carlo Di Napoli:Il capo dei Saracinari,  nato a Saracena (CS) il 27 agosto 1834. Figlio di Lorenzo e di Domenica Tolisano, bracciale, illitterato, ammogliato con prole.Nel 1856 venne condannato per omicidio , inquisito per furto, si è dato al brigantaggio nel 1861 Di Napoli è uno dei componenti fissi della banda Franco partecipando a quasi tutte le azioni brigantesche, con la quale fu arrestato a Lagonegro, alla fine di novembre 1865. Processato, condannato a morte e fucilato il 31 dicembre dello stesso anno.
 Domenico Di Pace: alias Pronico, cugino del Di Napoli. Nato a Saracena l’8 sett. 1836 da Caterina e Stefano Salerno. Bracciale, celibe, illitterato. Di Pace fu arrestato, processato, condannato e fucilato, insieme agli altri della sua banda.
 Vincenzo Di Benedetto: alias Cipollino di Saracena (CS), figlio di Innocenzo e di Maria Gagliardi. Nato il 18 nov. 1839. Celibe, illitterato. Ex soldato faceva parte del 4° Battaglione Cacciatori dell’esercito borbonico, verso la fine del ’60 si è dato alla macchia. E’ uno degli ultimi componenti dei ” SARACINARI”. Al comune di Potenza ci sono gli atti di morte dei suoi compaesani Domenico Di Pace e Carlo Di Napoli, fucilati con Antonio Franco il 30 dic. 1865. Tra i saracinari c’erano Giuseppe Rizzo di Morano Antonio Viola (panzanella), Biase Scirgulea, Domenico Viola e Gennaro Pugliese.
I due Pentiti, spietati accusatori della Banda Franco
DomenicoViola:alias Pilillo di Saracena. Fu il pentito più noto della banda dei “Saracinari-Franco”. Voleva vendicarsi del suo padrone e scoprì che era amico dei briganti. Viola fu processato dal Tribunale Militare di Cosenza e condannato a soli 10 anni di lavori forzati.
 Gennaro Pugliese: proveniva da San Basile renitente alla leva si era aggregato ai Saracinari nel 1862, passo anche lui per la banda Franco. Fu il primo pentito del brigantaggio del Pollino.
 Tutti i componenti della banda rinvenuti tra gli archivi di stato e le  dichiarazione sentenze dei tribunali   del periodo 1860-1865.
                                     FRANCO ANTONIO (Francavilla in Sinni)
                           ABITANTE Vincenzo (Francavilla in Sinni)                       
BERARDI Francesco (Mangone -Cs)
BLUMETTI  Franceso (Casalnuovo-Cs)
BUONOMO Giuseppe (S. Lorenzo B.zzi)
CAMODECA Francesco (Castroregio)
CAPPARELLI Gennaro (Santa Caterina-Cs)
CARLICCHIO Egidio (Corleto)
CARRIERI Giuseppe (Avigliano)
CARUSO Domenico -Gendarme- (Francavilla in S.)
CIMINELLI Fiore (Francavilla in S-)
CIMINELLI Lattanzio (Francavilla in S.)
CIMINELLIL1 Serafina (Francavilla in S.)
CIMINELLI Teresa (Francavilla in S.)
CIRIGLIANO Giuseppe Cucinière (Terranova P.)
COCCHIARARO Francesco Saverio -Canonico- (Latronico)
CONTE Domenico (Castronuovo)
CUCCI Angelo Maria – Cucciariegli – (Spezzano Albanese-)
DAMIANO Nicola ( Francavilla in S.)
DATTILO Giovanni (Terranova di Pollino)
DEL RUBBIO Giuseppe (Francavilla in S.)
D’ELIA Francesco (Oriolo)
DE SANTO Domenico (?)
DI BENEDETTO Vincenzo (Saracena)
DE LUCA Nicola Maria Scaliero (Latronico)
DI MARE Vito Malomo (Castelsaraceno)
DI PACE Domenico (Saracena)
FILARDI Antonio  (Castelluccio)
FLORIO Egidio (Castelsaraceno)
FRANCOMANO Rosario (Noepoli)
GENOVESE Giuseppe Scepp’a Monaca- (Terranova P.)
GESUALDI Vincenzo  (Latronico)
GIOIA Nicola (Castelluccio)
GIORDANO Egidio (Castelluccio)
GRAMIGNA Fiore (Francavilla in S.)
GU ARINO Egidio ( Latronico)
IANNELLI Vito  (Castelsaraceno)
IANNIBELLI Egidio (Francavilla)
IANNUZZI Saverio,  lo Zoppo  (S.Donato Ninea-CS)
LABANCA Giovanni (Terranova di Pollino)
LAVALLE Francesco (Mongrassano)
LEPORACE Saverio (S. Sosti-Cs)
LIBORIO (da Corleto)
MAGNO Giuseppe (Viggianello)
MAINIERI Prospero (Latronico)
MARINO Alessandro (Castronuovo)
MARINO Nicola (del Salernitano)
MASINI Angelo Antonio Zappatore – (Marsicovetere)
MATURO Egidio -Pettinicchio-(La.tronico)
MELIDORO Angelo (Favale)
MELIDORO Giuseppe (Favale)
MINIERE Vincenzo (Latronico?)
MIRAGLIA Francesco (Terranova di Pollino)
NOVELLI Giuseppe (Cavallerizzo di Cerzeto-CS )
PADULA Angelo Maria (Stigliano)
PALUMBO Carmine (del Salernitano)
PUGLIESE Egidio -Egidione (S. Giorgio L.)
PUGLIESE Gennaro (S. Basile-CS)
RIZZO Giuseppe (Morano)
SAMMARTINO Nicola -Mowrarao-(Castelluccio)
SANTANELLO Mattia (Castelluccio)
SCIRGALEA Biase (Saracena)
SISINNI Egido (Latronico)
SISINNI Saverio (Latronico)
TANCREDI Giuseppe (Terranova di P.)
TROIANO PAPPADA’ (Castroregio)
TUCCI Egidio – Contristo – (Latronico)
VIOLA Antonio -Panzanella – (Saracena)
VIOLA Domenico- Pillilo – (Saracena
VIOLA Francesco – Pedatella- (Latronico)
VITALE Domenico (S.Giorgio L.)

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