Era un normale giorno, uno
dei tanti giorni afosi  di un agosto
nella calda California quando presso Oroville nella contea di Butte apparve
all’improvviso lui, denutrito, quasi nudo, con i capelli mezzi bruciati ed era
spaventato non si sa da cosa e ne si seppe mai. Non parlava certo inglese; ma
solo una lingua sconosciuta poi si seppe che 
era lo Yahi, un dialetto che si nativa che si credeva istinto da 50 anni
assieme allo sterminio di quel popolo,.  Lui
era Ishi; l’ultimo sopravvissuto di quella tribù californiana dopo il massacro
di di Mill Creek nel 1866 dove la sua tribù fu sterminata e pochi superstiti
riuscirono a scappare nelle foreste californiane; da quel giorno evitarono ogni
contatto con l’uomo bianco; continuando a vivere liberi e lontani dagli “occhi
pallidi” che  li uccidevano senza motivo.
Era il 31 agosto 1911; Ishi l’ultimo indiano ad aver vissuto nella tradizione
del suo popolo senza alcuna contaminazione con l’occidente apparve stremato
all’improvviso; suscitando prima paura per il suo aspetto selvaggio, armato di
arco e frecce come non si vedeva da decenni, incapace di comunicare una sola
parola in americano. Ma colpì subito la sua gentilezza, anche se nessuno capiva
quella strana lingua poi in una zona dove amerindi non c’erano più da anni. 
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| ISHI IL 31 AGOSTO 1911 | 
 La popolazione, all’epoca erano contadini lo
aiutarono e lo accolsero benevolmente;  L’uomo venuto dal passato fu preso in custodia
dallo sceriffo locale, che gli diede vestiti, lo sfamò e lo ospitò in una cella
adibita per l’occasione in “camera da letto” finchè  arrivarono degli antropologi della università
di Berkeley, Alfred L. Kroeber e Thomas T. Waterman, due scienziati
dell'Anthropological Museum.  Gli
studiosi capirono subito di essere in una situazione di assoluta unicità; di
fronte a loro un uomo, un nativo come i suoi antenati di centinaia di anni
prima: nessun contatto con una cultura estranea se non quella delle tribù
amerinde. Ishi all’epoca aveva circa 50 anni, era cresciuto come un
autentico  Yahi del XV secolo: si cibava
di bacche, frutti, cacciava con l’arco, dopo il massacro della sua tribù si era
rifugiato in territori pieni di boschi dove nessun uomo bianco ci andava
assieme al padre  alla sorella ed alla madre;  gli unici superstiti.
Poi si seppe; quando Ishi
incominciò a comunicare che per anni la sua famiglia aveva vissuto in capanne
costruite nella manira Yahi; ben nascoste finchè nel 1908 furono attaccati da
alcuni bianchi; Yahi e la sorella fuggirono, la madre malata si nascose ma morì
dopo il saccheggio. Ishi non ritrovò più la sorella e da quel giorno visse solo
e senza una meta, impaurito da una ferocia che non comprendeva nella sua
cultura. L’ultimo indiano poi stremato alla ricerca di cibo trovò per caso una
nuova vita. Gli studiosi di Berkley lo portarono al museo di antropologia dove
Ishi rimase per tutta la vita come custode ed icona vivente di una  cultura autoctona che si era cercata di
cancellare perché inferiore. Grazie ad un gruppo di nativi di una etnica vicina
ai Yahi si tradusse anche  quella lingua
ormai parlata solo da un essere umano; tutto questo grazie al linguista Edward
Sapir; esperto di dialetti amerindi.
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| ISHI MENTRE COSTRUISCE UN ARCO | 
Ishi rivelò molto di quella
tribù ormai estinta della quel era l’ultimo rappresentante spiegando le
strutture sociali; gli usi; come si costruivano gli utensili ma fece capire che
non ricordava molto perché quel poco che sapeva gli era stato tramandato dai
genitori ma i “vecchi saggi” della tribù erano morti quando lui era piccolo.
L’Ultimo Yahi non rivelò mai il suo vero nome come da tradizione della sua
cultura e Kroeber  ormai da studioso
divenuto amico fraterno del “selvaggio” lo chiamò Ishi che in Yahi significa Uomo.
Colpì molto la sua abilità
nel costruire gli archi e nella caccia con l’arco; arte che insegnò ad un
professore di medicina Saxton Popee ed a 
Art Young, che  grazie agli insegnamenti di Ishi, divennero i primi
cacciatori arcieri dei tempi moderni e sono ancora considerati i grandi
pionieri dell’arceria moderna. 
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| ISHI MOSTRA COME SI ACCENDE IL FUOCO | 
Ishi si abituò alle usanze
americane, amava vestirsi e mangiare all’occidentale e mangiare  ma detestava sughi ed il fumo ed era astemio;
gentilissimo di animo ed affettuoso ma manteneva sempre il riserbo sulla sua
vita passata: non volle mai parlare della sua famiglia. Solo una volta,
accompagnato da Saxton Popee ritornò nei luoghi dove era vissuto, fece vedere
le capanne nascoste dove era vissuto; si tolse gli abiti occidentali per poter
nuotare liberamente nel fiume, prese arco e frecce si congedò per entrare nella
foresta da solo. Ritornò sorridente il giorno dopo dicendo .”Tutto a posto”.
Era andato a fare un rito funebre per i suoi cari. 
 Eppure Ishi fu vittima dell’uomo bianco,
nonostante fosse robusto e fortissimo si ammalava facilmente non avendo anticorpi
necessari per le malattie dei “bianchi” morì 
di tubercolosi appena dopo 5 anni la sua apparizione era il 25 marzo
1916
Quando Ishi morì il suo amico
prof.  Kroeber si trovava in Europa e
scrisse una lettera affinché Ishi fosse seppellito secondo i riti Yahi, e non
fosse posto ad autopsia perché per cultura Yahi il corpo doveva mantenersi
intatto per andare dal “Grande Spirito” . Fu inutile, l’autopsia fu eseguita e
secondo una assurda usanza del tempo il cervello di Ishi fu per inviarlo in
“dono” alla Smitshonian Institution del Maryland. Qualcno propose addirittura
di imbalsamarlo per esporlo nel museo; amareggiato  contro questo inutile gesto contro il suo
amico Yahi , Kroeber non volle più scrivere nulla su Ishi per tutta la sua
vita, voleva ricordarlo solo come un amico. Dopo che Kroeber morì, nel 1960,
sua moglie, Theodora, scrisse un libro “Ishi l’uomo in due mondi”.
Per  fortuna Ishi fu sepolto come l’usanza del suo
popolo con il suo arco , cinque frecce, delle ghiande, una borsa piena di
tabacco, tre anelli”. E sulla sua tomba Sulla tomba la  scritta con la frase che usava dire per
salutare la gente: "Voi restate, io me ne vado".
Il 10 agosto 2000 il cervello
di Ishi fu riportato nella sua terra, in un luogo segreto vicino a Oroville avvolto
in una pelle di cervo.
                                UNA CAPANNA YAHI
Saxton Pope disse di lui : “E così, con animo stoico e impavido muore l'ultimo indiano selvaggio d'America. Egli ha chiuso un capitolo della storia. Ci considerava come fanciulli sofisticati, intelligenti, ma non saggi. Noi conosciamo molte cose, e parecchie di esse sono false. Egli conosceva la natura, che è sempre vera. Le sue erano qualità che sono valide in eterno. Era benevolo: aveva coraggio ed autocontrollo, e quantunque gli fosse stata strappata ogni cosa dai bianchi, non v'era amarezza nel suo cuore. La sua anima era quella di un bambino, la sua mente quella di un filosofo.”
Saxton Pope disse di lui : “E così, con animo stoico e impavido muore l'ultimo indiano selvaggio d'America. Egli ha chiuso un capitolo della storia. Ci considerava come fanciulli sofisticati, intelligenti, ma non saggi. Noi conosciamo molte cose, e parecchie di esse sono false. Egli conosceva la natura, che è sempre vera. Le sue erano qualità che sono valide in eterno. Era benevolo: aveva coraggio ed autocontrollo, e quantunque gli fosse stata strappata ogni cosa dai bianchi, non v'era amarezza nel suo cuore. La sua anima era quella di un bambino, la sua mente quella di un filosofo.”












He was proposed to several times while among the whites and his lineage would of continued. We as a species are the sorrier for him not to have taken up that offer.
RispondiEliminaQuando l'uomo avra' abbattuto l'ultimo albero e pescato l'ultimo pesce si accorgera' che i suoi soldi non si possono mangiare .
RispondiEliminaGli anglosassoni, sterminatori rapaci e vigliacchi genocidi, sono il cancro del mondo. Solo con la loro scomparsa si vedrà una nuova alba.
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