DI LEONARDO PISANI, PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO ROMA DEL 7 MARZO 2017
Quell’incontro non lo dimenticherò mai, anche se non l’ho mai
visto ma l’ho sentito, eccome se l’ho ho sentito. Non ricordo per quale motivo
non riuscì a vederlo in tv, ci tenevo combatteva Acaries contro un avversario
che mi faceva volare la fantasia. Ferrara, Stefhane Ferrara, mi aveva colpito
il suo cognome, tanto diffuso anche nella nostra Basilicata. Tv spenta, ma non quella dei miei vicini, immigrati in
Belgio che potevano fare notte tardi. Erano in vacanza. In concreto fecero la
telecronaca gridando a squarciagola, tifavano per Ferrara, francese ma dal
cognome italianissimo. Vinse Acaries, gran pugile, solo dopo anni seppi che
quella serata del 5 agosto 1983 a Nimes, oltre all’europeo dei medi Acaries –
Ferrara, si combatteva anche per l’europeo dei massimi e dei mosca. I periodi
della grande boxe. Solo dopo 34 anni ho saputo che Ferrara salì sul ring con
una mano mezza spaccata, tre giorni prima aveva avuto un infortunio. «Non avrei
mai dovuto combattere, mano rotta ed ero un giovane orgoglioso e stupido – mi
racconta Stefhane – mi credi mon amì». Certo che ti credo Stefhane. Era
chiamato il Monzon europeo, alto, slanciato, pugno secco e tecnico, ma lascia
presto la boxe, era anche un idealista, se avesse preso altre decisioni,
avrebbe avuto un’altra carriera. «Ero giovane e stupido- mi ripete – ma
pazienza sono bei ricordi».
Del resto Ferrara è un saggio, ha vissuto sempre ogni esperienza
e vive sempre ogni esperienza, da saggio e lo era anche da giovane, ma un
saggio idealista e con il dovuto distacco dalle sirene dell’effimero. Sapevo
che si era dato al cinema, ci siamo ritrovati su facebook. Notavo questo
signore che metteva sempre mi piace sui miei articoli di boxe ma soprattutto su
foto di arte e di paesaggi lucani. Era lui, del resto Stephane ama l’arte, il
bello, ama la cultura. Sul ring faceva paura, ma è un uomo dall’animo gentile,
molto curioso di ogni cosa. Mi chiede dei Normanni, perché lui di diretta
origine siciliana sentiva sempre parlare del regno di Sicilia- parliamo di
Melfi, del Guiscardo, di tanto, ma poi tocca a me, io sono il giornalista e lui
l’attore che ha lavorato con Oliver Stone e Angelina Jolie. Tocca a me.
Lasci
la boxe ancora nel pieno delle tue forze
e poi passi a fare l’attore, come capitò?
«Capitò che una volta il fratello di Acaries, mi diede un
appuntamento in un ristorante, e mi chiese per di fare la rivincita contro il
fratello, dopo ore e ore di chiacchiere arrivammo a 500mila franchi, poi
l’organizzatore scese a 450mila. Dissi “facciamo 450mila e più il tuo vecchia
Jaguar”. Saltò tutto, poi Acaries, combatté contro Carlos Santos, ero a bordo
ring, volevo togliermi la camicia e salire io sul ring. Deluso feci l’ultimo
incontro, contro un americano e per caso conobbi Jean -Luc Godard , mi misi a
studiare teatro, feci corsi e così lasciai il ring e divenni aspirante attore».
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CON JEAN-LUC GODARD |
Hai
lavorato con grandi registi e grandi attori. Ma scommetto che Jean Paul
Belmondo e Jean -Luc Godard sono quelli colpito di più.
«Belmondo è il fratello maggiore che ognuno vorrebbe avere, è un
giovanotto, con tanta verve, sai che quando legge un copione le pensa tutte
come fare le gag, scene surreali. È così vuole divertirsi, e far divertire è
una meraviglia. Nel cinema ho incontrato poche persone che possono darti la
voglia di continuare, Godard è uno di quelli. Pensa che ci metteva tutti noi
attori in una camera assieme per creare l’empatia, lui mi ha fatto innamorare
anche dell’intellettualismo, ma sono convinto che nella vita ci vuole anche la
franchezza, la genuinità e meno il falso intellettualismo… Sai mi faceva più paura la violenza
intellettuale che i pugni, ora che ho i capelli bianchi non la temo più, ci
sorrido e Godard è un intellettuale vero, ti fa amare la cultura. Poi Oliver
Stone, però una situazione assurda, sono apparso in Alexander per soli tre
secondi nel film dopo tre mesi di set e tantissime scene di guerra…. Poi –
ride- passavo tutto il tempo con i marocchini, agli americani sembravo uno
strano. Comunque Oliver Stone, è realmente un personaggio straordinario,
affascinate, unico».
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CON JEAN PAUL BELMONDO SUL SET "L'ASSO DEGLI ASSI" |
Stephane
mi hai raccontato che hai vissuto molto a Roma, ma che frequentavi la Roma
mondana ma anche la Roma dei romani
veri. Cioè?
«Allora diciamo che dopo “Mon Bel Amour” di
José Pinheiro., che in Francia ha avute molte critiche, però ho ricevuto
una lettera da parte di un romano doc, Alberto Moravia che mi faceva le
congratulazioni. Mi è rimasto nel cuore quell’episodio, perché sono stato male
per due anni, per gli attacchi di quel film, che mi ha insegnato tante cose. A
Roma ho vissuto molto con i romani veraci, è una città che è un set all’aperto.
La portinaia del mio condominio mi diceva sempre “aho.. ma che fai l’attore…
Pure io ne ho fatto de film , na quarantina…”
Come Napoli, altro set reale all’aperto… Ho imparato a camminare a Roma,
a passeggiare, a vedere i particolari, tutto. Frequentavo le periferie A Roma,
a Napoli trovi sempre qualcosa che ti sorprende, l’arte, i palazzi, gli
angoli. Fai facevo 30 km al giorno a camminare…. Il mio posto preferito era
Campo de’ Fiori»
Però
Tinto Brass e Enrico Maria Salerno ti sono rimasti nel cuore.
«Tinto Brass lo moltissimo perché è un vero coraggioso, un uomo
molto colto, conosceva il cinema realmente. Sai sul set era concentratissimo,
accettai di fare Paprika con lui, perchè mi aveva colpito “La chiave “ con
Stefania Sandrelli: un filmoneeee…… Salerno era più classico nel lavoro, una
bella persona, Nel casting poi seppi che era anche lui di origine siciliana
come me. Ho imparato da lui molto, perché ero un neofita nel cinema. Mi ha dato
tanti consigli. E tanti tanti altri…»
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CON JAKE LAMOTTA |
Poi
il ritorno a Parigi, altri film tra cui I Miserabili con Belmondo, ora sei
nelle sale cinematografiche con Laissez bronzer les cadavres ! di Hélène Cattet
e Bruno Forzani . La critica ha dato recensioni positive.
«Oui Oui, perché non è facile adattare la trama del romanzo di
Jean-Patrick Manchette ad un film. Mon amì, devi leggere quel romanzo, poi
vedilo il film. Non è un film esageratamente “intellettualistico” ma c’è
cultura, Sai è anche molto Sergio Leone
in alcune scene del film. Mi sta dando molte soddisfazioni, molte lo ammetto».
Mi
dici sempre la cultura è fondamentale, la cultura è l’anima dell’umanità. Ma
per Stefhane Ferrara cosa è la cultura, cosa è il “bello”.
«La cultura è quella cosa che non ha frontiere, se ha frontiere,
se ha nazionalismi, se ha steccati non è cultura. E’ inutile e necessaria allo
stesso tempo, poi la creazione, l’arte, la creatività di poter cancella re
tutto e ricreare. Per me l’arte, è distruzione e rigenerazione allo stesso
tempo. Per esempio a me Alì piaceva, perché sul ring faceva tutto quello che un
pugile non deve fare;: abbassava la guardia, ballava, non badava alla difesa…
Insomma così è l’arte… E ribadisco: la cultura serve a abbattere le frontiere,
i razzismi….»
Il
tuo sogno nel cassetto? Lo vuoi fare da attore, da regista, da autore?
« Io non mi considero nè attore, nè regista, né autore. Il mio
sogno però di vivere “artisticamente” di fare della mia vita una “parte di
arte”.. Per questo sono contento di aver lavorato con Gotard e ora con Hélène
Cattet e Bruno Forzani che fanno un cinema diverso, coraggioso».
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CON CARLOS MONZON |
Un’ultima
domanda, hai letto il mio articolo su Jake Lamotta e mi chiamasti. Ci hai fatto
anche un film con lui, eravate molto amici. Come era realmente il Toro del
Bronx?
«Era un toro…. Ma un toro che si difendeva… Con tutti i cazzotti che ha preso, con
l’alcool che ha bevuto, è morto a 96 anni. Quando ho fatto i guanti con lui sul
set, era anziano ma ne sentivo la possanza…. La notte in discoteca ballava con
la moglie come un forsennato... Era una
forza. Monzon, ci conoscemmo a una festa in suo onore, una torta a forma di
guantone. Mi faceva paura…. Un giornalista gli disse “sai avrei voluto vederti
contro Hagler”. Lui si arrabbiò e spacco la torta con un pugno … Era un
“primitivo” ma generoso, cordiale, di cuore. Ci sono tanti episodi, dove Monzon
ha aiutato le persone,, si preoccupava degli altri. Tanti
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