Di Leonardo Pisani
Una storia lunga 45 anni, una storia che
affonda le radici neli ritmi lucani, una storia dal profumo arabesco e dalla
possanza normanna, una storia che inizia nel mitico Folk studio di Roma, al
tempo Franco era adolescente e partiva da Tricarico “senza una lira” per
cantare lì… Al buon Ferri lo prendo sempre in giro: « A te , ti invitavano da
Tricarico, e quel tipo di Duluth quando si esibì qualche anno prima, neanche lo
ascoltavano».
Infatti giovane Dylan, in cerca
disperata del suo amore Sue Rotolo, fece capolino da Giancarlo Cesaroni,
nell’indifferenza generale o quasi.
La prima esibizione di Franco Ferri, sembra quasi da sceneggiato: ebbe un
attacco di appendicite e fu soccorso dal medico cantautore Mimmo Locasciulli.
Forse l’emozione, fatto sta che la predizione di Locasciulli si avverò: «se ti
passa ora, non ti operai mai»... Tanto tempo fa, certo, ma mai interrotto
nei ritmi: la forza, il pathos, l’universo musicale dei cantori del paese arabo
normanno sono quelle percussioni che ci portano in un mondo antico, ancestrale,
dove i cupa cupa dettano i percorsi antropici di chi ascolta.
I Tarantolati
sono l’anima della Lucania musicale, con le radici nel passato contadino e
magico e gli occhi al futuro con le sapienti miscellanee tra vari stili di
musica. La chiamano world musica, io la definirei arte. Un’arte che ha
ammaliato il Sud America, che stregato Jonavotti che li ha voluti con sé ed ora
aspettiamo un dio tutto lucano: l’aviglianese Antonio Gerardi che lascia i
panni dell’attore per diventare cantante con I Tarantolati.. Vi cumm abball
bell/Vi cumm abball bell. Lu palomm e la palummell/Nun ti.la voj truva’ Non ti la voj truva’.
Con note e armonie, ritmi e cupa cupa, i Tarantolati hanno testimoniato la cultura della Basilicata
nel mondo: sono stati ospiti dell'Ambasciata italiana a Bucarest ed in Russia,
con il primo premio internazionale dell'Accademia di musica russa, a Bruxelles,
hanno fatto ballare il popolo carioca a Rio
de Janeiro (dove sono tornati nel dicembre 2019 durante il loro tour
sudamericano) con il gruppo della prima scuola di samba della città e
accompagnandosi alla grandissima Beth Carvalho, al Festival internazionale
di Musica e danza di Las Vegas.
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Riconosciuti
a livello internazionale grazie al grande successo avuto in seguito al Womex Copenhagen,
al concerto Accademia della Musica svoltosi a Venezia e alle collaborazioni con
grandi della cultura e dello spettacolo (Dario Fo, Roberto Benigni, Renato
Carosone, Guccini, Francesco De Gregori, Canzoniere del Lazio, Nuova
Compagnia di canto popolare), hanno inoltre partecipato alla colonna
sonora del film Le Rose Del Deserto, dell’indimenticabile Mario Monicelli.
Ma restano sempre umili, con i piedi in quella materna terra lucana, anzi no,
guardano alla Luna, ricordando uno dei giochi infantili più amati in Lucania:
un mond la luna, due il bue, tre la figlia del Re… Oppure …..
Cosa
c’è nella testa
È
la tarantola che balla
Ci
porterà fortuna
Mani
bianche mani scure
Nella
luce della luna
La
malinconia ti prende
nel
vento caldo dell’Africa
È
il “mal di luna”
Ci
porterà fortuna
Un racconto, una musica, un suono, un ritmo
unico e irripetibile. Il filo del ragno lega il loro prestigioso passato, che
ha fatto la storia della musica popolare, e li proietta nel futuro in uno
splendido video firmato da Mimmo Greco, con la davvero straordinaria partecipazione
di Domenico Fortunato. Ho cercato di
ricordare se quando ho ascoltato la prima volta i Tarantolati di Tricarico,
fosse per radio oppure dal vivo. Non ricordo, ma ricordo quando ho sentito altri gruppi come
la P.F.M o grandi e meno grandi della musica come Dylan, De Andrè. Ricordo la
prima volta dei MusicaNova, ma i Tarantolati no.
(...) avessi conosciuti in qualche altra vita, come
se facessero sempre parte del mio mondo pentagrammato. ma ricordo sempre questa canzone come se l’avessi
sempre ascoltata..
Cara
ninella ninozza nina’
Cara
ninella ninozza nina’
Vi
dissi bunasera.quanni venga
Saluti
santi notta e sciaminnenna….
Cara
ninella ninozza nina
Cara
ninella ninozza nina
. Ma cosa sono oggi, a quarantaquattro anni dalla loro nascita, i Tarantolati di Tricarico? La loro natura è certamente molteplice, poiché restano in parte ciò che erano nel 1975, ma al tempo stesso si identificano anche in tutte le musiche che li hanno attraversati.Istintivamente e senza timore reverenziale, avevano sin da subito interpretato la poetica contadina filtrandola e accompagnandola con la sensibilità musicale di ragazzi nati a cavallo tra anni ’50 e ’60; reinventando melodie, creandone di nuove su filastrocche e giochi di bambini e finanche ripensando l’utilizzo degli strumenti musicali: il doppio tamburo a frizione (‘u cubba cubba) e il suo innovativo sistema idraulico, l’accordatura aperta della chitarra, i tamburi suonati anziché con le mani con le bacchette, e con quelle ritmiche che li hanno sempre contraddistinti, le percussioni più diverse ricavate da utensili di uso quotidiano, ecc. Dicevamo prima della loro vocazione di ponte fra generazioni. Ebbene, il collegamento che suggerisce la loro musica è anche un altro: quello tra diverse culture. Il cartello di località di Tricarico recita: “Città arabo-normanna”. Come tutto il Sud Italia, la Basilicata è stata attraversata storicamente da numerose popolazioni e la musica che qui si è prodotta e si produce non può non risentire di tutto ciò, risultando infine come un afflato di unità fra tante realtà geografiche e culturali. È vero che nella tradizione lucana ci sono echi di tante musiche del Mediterraneo, ma la compresenza in particolare di popoli così diversi, come gli arabi e i normanni nella storia di Tricarico, rappresenta la duttilità di un popolo che ha saputo conservare le proprie peculiarità, pur adattandosi e tenendo insieme diverse identità. La sua posizione lungo la via Appia l’ha sempre tenuta dentro un flusso di genti, lingue, costumi, quasi come una città di mare. La musica di cui parliamo è dunque innanzitutto musica di una terra separata ma al tempo stesso indissolubilmente legata agli altri paesi del bacino mediterraneo, agli altri suoni latini così come a quelli del mondo arabo, africano, balcanico e via dicendo».
Musica che affonda le radici nel terreno di una “terra” senza tempo, “Gli orti pingui sulle pietre” descritti dal sindaco poeta Rocco Scotellaro, culture musicali e antropologiche che hanno amalgamato lucani e romani, oschi e greci, longobardi, normanni e saraceni, con la loro abilità di agricoltori in un luogo che seppero rendere fertile, come la loro Sicilia, con quelle ampie terrazze a ridosso delle mura dei quei luoghi dove avevano finito il loro pellegrinare tra coste e flutti del Mediterraneo. Ancora oggi sotto i quartieri della Rabata e della Saracena, sembra risuonare la preziosa acqua negli “orti saraceni” , un ritmo ancestrale vivo nel presente e protratto al futuro. Canta l’assiolo / la notte sempre mi fai tanto male / col fischio mio quaggiù son tutto solo / Canta l’assiolo, la lirica eterna di Scotellaro ci riporta ai ritmi “tarantolati” di una musica senza confini, che naviga in un mare nostro, che merita arte e non lo strazio di pianti di dolore e morti odierne. La bellezza salverà il mondo, speriamo e la bellezza può essere creata dall’umanità, in un linguaggio universale con le melodie di note di una musica miscelata di culture diverse, come un arcobaleno non solo di sette colori ma di mille sfumature sincopate, dove anche una pausa è ritmo, dove anche un bemolle ha il sapore dell’Universo. Per concludere, nelle parole degli stessi Tarantolati riportiamo il senso ultimo del loro contributo a questa cultura delle radici e dell’incontro: «In effetti, da tricaricesi ci siamo sempre sentiti come in un porto, dove arrivavano le genti e le “merci” più diverse e da cui avevamo il dovere di partire per fare altrettanto, portando il nostro contributo agli altri. A maggior ragione oggi, abbiamo la sensazione di essere come la fiumara (nel nostro dialetto l’aimare, che è anche il titolo di una delle nostre ultime canzoni) che scorre e lambisce le varie contrade di questa terra. Ciò che portiamo è un’acqua molto particolare, perché è quella dello stare insieme fra diversi, condividendo ciò che ci fa uguali, il pulsare di questo ritmo invincibile, inarrestabile, che ci lega gli uni agli altri e contemporaneamente non ci separa mai dai nostri antenati, perché il nostro passo nella danza fa tremare la terra, mentre bussiamo con i nostri piedi alla loro dimora».
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